Home Stories Il Giornale contro la Rai “genderalista” di Coletta, ma quando la tv fa schifo è come l’amore: non ha sesso

Il Giornale contro la Rai “genderalista” di Coletta, ma quando la tv fa schifo è come l’amore: non ha sesso

Stefano Coletta e la sua tv "genderalista"

Il Giornale fucila Stefano Coletta, Direttore dell’Intrattenimento di Prime Time targato Rai dal 2020, definendo la “sua” tv “genderalista”. L’affondo è a firma di Luigi Mascheroni che verga un ritratto XXL del dirigente, sottolineando come abbia “colto lo Zeitgeist arcobaleno dei tempi” riempiendo il servizio pubblico di gaie paillettes e show (fallimentari) dalla spiccata indole omosex. Un attacco, anche fin troppo personale, che ha scatenato la solita tempesta di polemiche pretestuose sui social, polemiche che, però, hanno forse dimenticato il punto di partenza fondamentale dell’intera querelle: il suddetto attacco è pretestuoso di per sé. Più un divertissement (ognuno di diverte come può), che una critica vera e propria, nell’articolo della prestigiosa testata non funziona niente. Ed ecco perché invece delle ire funeste che si è attirato sulla collottola avrebbe dovuto, al massimo, essere accolto da un coro di generose pernacchie.

Stefano Coletta, “GayUno, GayDue, GayTre…” Stella!

Stefano Coletta non solo osa dirigere l’intrattenimento di prime time delle tre reti Rai dal 2020, ma l’articolo in esame lo sbertuccia per fatti gravissimi: per esempio l’aver partecipato, in veste di invitato, al matrimonio di Alberto Matano, conduttore (dagli ascolti d’oro) de La Vita in Diretta. Che eresia. Presenziare alle nozze, gay, del volto di punto del day time di Rai 1! Dove andremo a finire? Come un Mario Adinolfi qualunque –  il leader del Popolo della Famiglia viene ovviamente citato nella puntuta invettiva di Mascheroni – il giornalista di lunghissimo corso cita questa “connivenza” che ben poco ha a che fare con la tv, insieme a vari programmi che a suo modo di vedere farebbero valere alle reti del Servizio Pubblico gli appellativi di “GayUno, GayDue e GayTre”. Stella!

All’indice, per esempio, il brutto talk di Cristiano Malgioglio Mi casa es tu casa. Che sarebbe stato improponibile anche con l’Hulk Hogan degli anni Ottanta saldo al timone. Si addita, poi,  l’imminente format in salsa drag queen che incombe su Rai 2 per la conduzione di Alba Parietti. Infine, il Festival di Sanremo a causa dell’onnipresente Achille Lauro tutto tempestato di lustrini (e tedio popolare). In evidente penuria di argomentazioni a supporto, ecco arrivare citazioni di programmi che di “gaio” non hanno un bel nulla: il flop di Da Grande, lo show di Alessandro Cattelan e i risultati Auditel tiepidini del più recente Boomerissima che ha segnato il ritorno di Alessia Marcuzzi, nota lobbysta lesbica anzichenò, in Rai. Gay vuol dire emorragia di ascolti anche quando i conduttori sono etero, a quanto pare. Perché lo dice Il Giornale. Oppure la tesi è che un Direttore di Rete, si suppone, non eterosessuale non abbia fiuto per la tv? La storia, e anche il buonsenso comune, racconta ben altro. Senza contare che siamo ancora tutti qui a rimpiangere gli show di Raffaella Carrà, nota militante del Popolo della Famiglia (Queer).

La brutta tv è come l’amore: non ha sesso

Stefano Coletta per Il Giornale “ha colto lo Zeitgeist arcobaleno dei tempi” e questo, non ce ne voglia Mascheroni, è un complimento. Ci piaccia o meno, viviamo nell’epoca della fluidità. Se un tempo il teen idol cinematografico dalle ragazzine era Leo Di Caprio, oggi è Timothée Chalamet che usa presentarsi sui red carpet degli eventi internazionali, prendiamo per esempio quello della Mostra del Cinema di Venezia, in cosplay da Valeria Golino e tutt* lo trovano bellissim*. Per qualche ragione. Riuscire a infilare lo spirito gaio e festaiolo della nostra sciagurata era nella sempre bigotta e rigidissima Rai senza scatenare la rivolta delle massaie benpensanti era impresa mica da poco, sempre ammesso che sia stata davvero compiuta.

Nel Prime Time del Servizio Pubblico, ci pare di vedere sempre le stesse fiction, comunque campioni d’ascolti, con santini, commissari(e) senza macchia né paura e attori di punta dello showbiz nostrano alle prese con fattacci di cronaca in strettissimo dialetto. Individuare come causa principe di programmi meno fortunati una qual certa matrice “gender” è operazione ai limiti del ridicolo. Perché la brutta tv, come l’amore, non ha sesso. E poco importa, comunque. Tanto,  a guardarla è rimasta giusto nonna Abelarda insieme alle comari sue. Perché, per fortuna, c’è lo streaming. E, lasciatecelo dire, anche Stefano Coletta. Oltre ad aver azzeccato lo sposalizio Amadeus-Festival di Sanremo (chi mai ci avrebbe scommesso una pantofola bucata?), è a tutti gli effetti novello Don Chisciotte che lotta per rendere ancora appetibile un elettrodomestico evidentemente in preda a una profondissima crisi. Non certo di gender.