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Bambini rubati, anche gli italiani (brava gente) in passato facevano come i russi

Bambini rubati

Perché questo articolo ti potrebbe interessare? La Corte penale internazionale ha emesso un mandato d’arresto per il presidente russo Vladimir Putin con l’accusa di crimini di guerra. Tra essi ci sarebbe il rapimento di bambini ucraini deportati in Russia.  Questo non è il primo caso nella storia contemporanea europea. In passato anche gli italiani…

C’è anche Putin tra gli imputati dei crimini sui bambini da parte dell’esercito russo in Ucraina. La Corte penale internazionale ha fornito pochi dettagli, ma ha indagato sui rapimenti di minori ucraini da mesi. L’obiettivo è la rieducazione dei bambini provenienti dall’Ucraina e la loro adozione da parte di famiglie russe. I dati al momento disponibili parlano di più di 6mila bambini tra i 4 mesi e i 17 anni. I minori vengono condotti in strutture deputate alla rieducazione e poi affidati a nuovi genitori. Alcuni erano orfani, altri sembrano essere stati deportati con il consenso dei genitori, a cui è stato descritto il trasferimento come temporaneo e finalizzato a porre i propri figli al sicuro dalla guerra.

I niños robados della Spagna franchista

Il rapimento di minori con fini politici è molto più diffuso di quanto si possa pensare nella storia contemporanea europea. Ѐ il caso dei niños robados nella Spagna franchista. Nell’ottobre del 1941 il generale Francisco Franco semplifica infatti le leggi sulle adozioni. L’obiettivo era molto preciso. Quando i dissidenti politici finivano in carcere, i figli potevano essere così affidati ad appositi istituti e a famiglie considerate rispettabili, cioè in linea con la politica del regime.

Per rafforzare questa manovra, nel 1958, si stabilisce che i genitori biologici dopo tre anni dalla separazione con i figli perdevano ogni diritto. Furono così numerosi i minori sottratti alle famiglie associate al “morbo rosso”, cioè vicine al partito comunista o semplicemente lontane dall’ideologia franchista. Dal 1943 al 1987 si genera un vero e proprio traffico di esseri umani, anche grazie all’appoggio di alcuni ordini religiosi femminili. Le suore venivano coinvolte nel sottrarre i neonati da giovani madri, spesso in condizioni di povertà e di isolamento sociale. Il caso ribolle nel corso degli ultimi trent’anni grazie ad alcune inchieste sparse, per poi affermarsi all’attenzione internazionale nel 2011 grazie a un documentario della BBC, che ricostruisce le vicende e i dati: 300mila bambini rubati.

I bambini irlandesi degli istituti per “ragazze madri”

In Irlanda a essere colpiti sono le “mother and baby homes“, gli istituti per giovani donne non sposate in attesa di partorire e gestiti da suore. Le indagini compiute negli scorsi anni – dopo la scoperta di una fossa comune a Galway – hanno stimato che sono 9mila i minori portati alla morte per le pessime condizioni di vita a cui erano sottoposti. Il 15% dei bambini che hanno vissuto in quelle case.

Negli istituti per “ragazze madri”, infatti, si soffriva di malnutrizione e malattia e il tasso di mortalità era molto alto. I corpi di chi non sopravviveva finivano nelle fosse comuni senza specificarne l’identità. L’obiettivo di queste “homes” – in funzione dal 1922 al 1998 – era nascondere agli occhi di una società conservatrice i figli nati fuori dal matrimonio e regolarizzarne la posizione dandoli in adozione a coppie sposate, anche provenienti dall’estero.

L’Italia e i bambini delle colonie

Situazioni simili si sono verificate anche in Italia. Nel giugno del 1940 otto navi della Marina Militare Italiana sono partite dalla Libia con un carico di 13mila bambini tra i 4 e i 14 anni. Erano i figli dei contadini italiani trasferitisi oltre il Mediterraneo. Alle famiglie viene comunicata l’intenzione di far trascorrere l’estate ai minori nella loro terra d’origine. Avrebbero fatto ritorno dopo poche settimane, restando al sicuro dal conflitto armato e conoscendo l’Italia che non avevano mai visto.

I minori vengono prima smistati nelle colonie estive e poi in strutture più interne, non potendo ritornare a casa per via dell’ingresso in guerra. Coinvolti come tutti gli altri bambini nelle dinamiche giovanili stabilite dal regime, i maschi sono forzati all’addestramento paramilitare prima e militare dopo. Le femmine, invece, sono educate a diventare le madri dei futuri soldati. Solo alla fine del conflitto per alcuni sarà possibile il ricongiungimento con le famiglie d’origine.

Le Residental School canadesi

Di recente è emerso anche il caso delle Indian Residental School canadesi, tornate alla ribalta durante il viaggio di papa Francesco oltreoceano del luglio 2022; l’anno dopo il ritrovamento di centinaia di tombe anonime all’interno di fosse comuni situate vicino ad alcuni di questi istituti. La colonizzazione delle popolazioni native del Canada è avvenuta in gran parte secondo il principio dell’assimilazione culturale: forzare le persone indigene ad abbandonare usi e costumi propri per accettare i canoni europei. Fondamentali per sostenere questo processo sono state le scuole residenziali, attive dalla fine dell’Ottocento alla fine degli anni ’90.

I minori venivano spesso allontanati con forza dalle famiglie per far parte di tali scuole, gestite dalla Chiesa cattolica. Dovevano convertirsi al cristianesimo, non potevano parlare la propria lingua, erano tenuti in condizioni igieniche estremamente precarie e subivano diversi tipi di abusi. Le Indian Residential Schools furono 132 e non si conosce il numero preciso delle persone native coinvolte. Si parla di migliaia di bambini morti per malnutrizione e suicidio. La Truth and Reconciliation Commission ne ha ricostruito il fenomeno in un report pubblicato nel 2015 e basato sulla testimonianza di 6750 persone. Lo Stato canadese ha riconosciuto il genocidio culturale delle popolazioni indigene almeno fin dal 2008, quando vennero annunciate le scuse pubbliche dell’allora primo ministro Stephen Harper.