I Verdi di Milano corrono verso Beppe Sala dopo aver subito il diktat dal partito nazionale e dal gruppo europeo. E fanno una figuraccia incoerente

di Francesco Floris
Qualcuno che ci vede lungo nel Pd milanese lo mormora a mezza bocca da mesi: “Tanto casino per nulla, vogliono solo un assessorato”. Ma riavvolgiamo il nastro del film: Beppe Sala prima li ha sfottuti: “Ho sentito accuse e richieste di mie scuse da parte dei rappresentanti dei Verdi: penso che siano loro a doversi scusare con gli italiani perché sono riusciti a raccogliere il 2 per cento a malapena del consenso, mentre in altri Paesi d’Europa sono arrivati anche al 15.
Sembra cosa fatta ma arriva il dietro-front. Sala ufficializza la propria ricandidatura a Sant’Ambrogio e per gli ambientalisti meneghini d’improvviso cambia tutto. “Critiche magari non capite”, dice la stessa Elena Grandi a Radio Popolare il 10 dicembre, “abbiamo lavorato in collaborazione”, “situazione in fieri”.
Cosa è successo? Un dirigente nazionale del partito ambientalista sintetizza così: “Mi state chiedendo un giudizio sulla mia fidanzata dopo che mi ha messo le corna”.
Beppe Sala si è mangiato i Verdi. Lo ha fatto agendo “localmente” e pensando “globalmente”, come da slogan che piace tanto agli spiriti “green” di tutto il mondo. A Milano Sala si è portato via attivisti, consiglieri di municipio e pezzi da novanta del partito locale che sarebbero numericamente minoranza ma vengono spalleggiata dalla linea nazionale che punta a un ingresso in Parlamento nell’alveo del centrosinistra. A cominciare dal consigliere comunale verde Enrico Fedrighini.
Beppe Sala si muove anche a livello internazionale. Di chi è uno dei primi tweet di congratulazioni per la sua ricandidatura? I “migliori auguri” a nemmeno tre ore dall’annuncio sono arrivati via Twitter da Alexandra Geese: europarlamentare tedesca, che parla perfettamente l’italiano e intrattiene rapporti con il mondo politico e accademico della penisola, pezzo da novanta dei Die Grünen teutonici, i Verdi in Germania. Il suo tweet è un messaggio molto chiaro. E infatti le pressioni, o meglio, il diktat, per accoppiarsi con il centrosinistra a Milano arrivano proprio dalla Federazione europea – che tanto federale, in effetti, non si dimostra. Il motivo? I Verdi in Europa sono ormai una potenza in termini di consenso e di macchina mediatico-propagandistica. Terzo gruppo politico a Bruxelles e Strasburgo dopo le scorse elezioni comunitarie. Diventati il quarto con la Brexit e la fuoriuscita del nutrito gruppo dei britannici. C’è da rimpinguare le truppe. Il nord e la mittel Europa sono, per ora, saturi. Prendono già tanti voti. Le uniche assenti fra le grandi nazioni sono le mediterranee Italia e Spagna. Soluzione? Appoggiare il centrosinistra, anche alle amministrative venture, per poi passare all’incasso in futuro e rafforzarsi. Di più. Che piaccia o non piaccia agli ambientalisti duri e puri, che piaccia o meno lo sviluppo urbanistico di Milano dell’ultimo quinquennio trainato dalla finanza immobiliare, è un fatto che a livello di “sentiment” europeo Beppe Sala venga percepito come uno dei sindaci più progressisti. Alla stregua delle “socialiste” Anne Hidalgo a Parigi o di Ada Colau a Barcellona. In piena pandemia è stato nominato presidente della task force C-40, la rete delle grandi città del mondo con al centro salute pubblica, disuguaglianze e crisi climatica. Così, su pressioni che arrivano da lontano e salvo ribaltoni dell’ultimissima ora, Beppe Sala si è mangiato i Verdi. Ora è in una situazione win-win. Se farà politiche rivoluzionarie ecologiste e ambientaliste a Milano il merito sarà suo e passerà alla storia. Se non le farà il demerito sarà degli altri che gli hanno dato fiducia. “In politica devi essere un problema o un’opportunità – dice il Verde che si sente tradito dalla fidanzata – se non sei nessuna delle due cose, allora sei morto”.