Home Politics Rizzo, Ingroia, Adinolfi e gli altri: il fronte del complotto alla prova delle urne

Rizzo, Ingroia, Adinolfi e gli altri: il fronte del complotto alla prova delle urne

Rizzo, Ingroia, Adinolfi e gli altri: il fronte del complotto alla prova delle urne

Cosa accomuna il comunista duro e puro, unico depositario del verbo marxista-leninista, Marco Rizzo all’ex pm Antonio Ingroia? E quali valori condivide con l’ex parlamentare leghista e no-vax Francesca Donato, che il segretario del minuscolo Partito comunista ha appoggiato nella sua perdente corsa a sindaco di Palermo? I tre hanno dato vita, insieme ad altri soggetti, alla coalizione elettorale Italia sovrana e popolare. Candidano al Senato la 95enne attrice Gina Lollobrigida (di cui Ingroia è stato legale per una diatriba familiare).

In comune hanno la passione per il complotto. Nel nome del quale riportano in auge in Italia il fenomeno del rossobrunismo: la convergenza su alcuni temi sui quali ideologicamente destra e sinistra non potrebbero essere più distanti.

Italia sovrana e popolare

Italia Sovrana e Popolare (Isp) si definisce “l’unica alternativa al totalitarismo liberista, guerrafondaio e sanitario”. Il suo programma prevede: l’uscita dell’Italia da Nato, Unione Europea, euro e Organizzazione Mondiale della Sanità; lo stop all’invio di armi al “regime ucraino” e “basta guerra e sanzioni alla Russia”; la contrarietà al “politicamente corretto che cancella cultura e storia”; denuncia della sistematizzazione del terrore come strumento di governo dei popoli respingendo ogni ipotesi di transumanesimo, i cui prodromi sono stati sperimentati durante la gestione del Covid.

Sono tutti temi cari alla galassia no-vax, quella che ha contestato la presunta dittatura sanitaria durante la pandemia, protestando contro vaccini e Green pass. Tanto che nelle liste di Isp hanno trovato spazio le candidature del giornalista complottista Fulvio Grimaldi; della senatrice ex Cinque Stelle Bianca Laura Granato, orgogliosamente filo-putiniana; il medico anti-vaccinista Daniele Giovanardi, fratello gemello del senatore Carlo, che è stato radiato dall’Ordine dei medici.

L’origine del gruppo

Italia Sovrana e Popolare, spiegano gli stessi promotori dell’alleanza – che le stime più ottimistiche danno al 2% – “nasce dalla fusione di Ancora Italia, Partito Comunista, Riconquistare l’Italia, Comitati No Draghi, Azione Civile, Rinascita Repubblicana, Italia Unita”. Il nucleo originario, spiega Pagella politica, è nato dal gruppo parlamentare “Costituzione, Ambiente, Lavoro-Idv”; formato a gennaio 2022 da nove senatori ex membri del Movimento 5 stelle e una ex senatrice della Lega. E’ stato sciolto dopo solo un giorno di vita per evitare “polemiche strumentali” sul suo presunto appoggio alla candidatura a presidente della Repubblica della presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati.

Il gruppo è stato ricostituito ad aprile 2022, con l’aggiunta, tra gli altri, di Emanuele Dessì, in quota Partito Comunista. Dopo essersi collocato all’opposizione del governo Draghi, il gruppo ha accolto anche l’ex presidente della Commissione Esteri del Senato Vito Petrocelli. A giugno la vicepresidente del gruppo, la deputata no vax Bianca Laura Granato, ha aderito al partito Ancora Italia, fondato nel 2019 dal filosofo Diego Fusaro. Attualmente il gruppo conta 13 senatori e ha cambiato denominazione in “Uniti per la Costituzione”, dal nome della lista con cui il senatore Mattia Crucioli (ex Movimento 5 stelle) aveva riunito diversi partiti antisistema, tra cui anche Italexit, e si era candidato a sindaco di Genova nelle elezioni comunali dello scorso 12 giugno.

L’alleanza elettorale

È con questa denominazione che il 3 luglio il Partito comunista di Marco Rizzo e Ancora Italia, insieme al partito sovranista ed euroscettico Riconquistare l’Italia, il movimento populista di sinistra Azione civile di Antonio Ingroia e altri soggetti politici minori hanno formato un’alleanza politica in vista della fine della legislatura e del governo Draghi.

Con la fine anticipata del governo e le elezioni programmate il 25 settembre, Uniti per la costituzione è diventata una vera e propria coalizione politica e il 21 luglio è così nata Italia sovrana e popolare. Una coalizione che “ha un programma ambizioso (il salario minimo di 1200 euro è tra le proposte, ndr) perché noi vogliamo cambiare il sistema, perché per costruire una società giusta si deve cambiare e non riformare una società ingiusta che si fonda sulle menzogne e sul neoliberismo”.

Marco Rizzo, il comunista amico della Corea del Nord

“La Corea, come Cuba, è uno dei pochi Paesi al mondo che resiste al modello dominante. All’imperialismo capitalista”. Sono le parole che Marco Rizzo pronunciò a un giornalista della Stampa nel 2011. Rizzo, allora era leader di Comunisti italiani-sinistra popolare e aveva inviato un telegramma di condoglianze al regime nordcoreano per la morte di Kim Jong II.

Il 3 luglio 2009 aveva annunciato la fondazione del movimento politico “Comunisti Sinistra Popolare” , che diventerà poi nel gennaio 2012 “Comunisti Sinistra Popolare – Partito Comunista”, e infine, dal gennaio 2014, semplicemente “Partito Comunista”. La sua bussola è sempre il marxismo-leninismo. Dal 1994 per dieci anni è deputato del Partito dei comunisti italiani, nel 2004 sceglie di lasciare Montecitorio optando per il Parlamento europeo.

Il PdCI aveva dato indicazione di voto per eleggere europarlamentari Armando Cossutta e Iacopo Venier, ma le preferenze li videro piazzarsi: Cossutta secondo nel Nord-Ovest, e Venier terzo nel Centro. Rizzo non rinunciò al seggio guadagnato a favore del Presidente del partito, cosa che fece Diliberto rinunciando a favore del secondo, Umberto Guidoni.

Rizzo e i tanti flop nelle urne

E’ l’ultima volta che Rizzo raccoglie un successo nelle urne. In occasione delle elezioni amministrative italiane del 2016 si candida a sindaco di Torino, la sua città, appoggiato solo dal suo partito e ottiene 3323 voti pari allo 0,86%. Alle elezioni politiche del 2018 si candida nel collegio uninominale di Firenze-Scandicci per la Camera dei deputati, raccogliendo l’1% dei voti, senza quindi essere eletto.

Alle elezioni europee del 2019 è candidato come capolista per il suo partito in tutte le circoscrizioni, ma non è eletto a causa del mancato raggiungimento della soglia di sbarramento. Ottiene complessivamente 22.406 preferenze personali.

Nel 2020 si candida alle elezioni suppletive per il collegio uninominale Lazio 1 – 01 della Camera dei Deputati ottenendo 855 voti pari al 2,62%. L’anno seguente ci riprova candidandosi nel Collegio Toscana – 12. Raccoglie il 4,69% dei consensi pari a 3135 voti, giungendo terzo dietro a Enrico Letta e Tommaso Marrocchesi Marzi. Sarà il miglior risultato conseguito.

Rizzo e le “follie” del ddl Zan

Il “meglio” di sé lo ha dato, però, Marco Rizzo lo ha dato in una intervista rilasciata al quotidiano La Verità. A una domanda sul ddl Zan, ha risposto: “Io mi sono sempre impegnato a combattere l’utero in affitto, una pratica nazista, degna del dottor Mengele. Mi hanno massacrato per questo, ma continuerò a rivendicare questa battaglia. La voglia di avere un figlio è un desiderio, e i desideri non sono diritti”. Piccola annotazione: nel ddl Zan non c’è traccia dell’utero in affitto.

Rizzo ha poi rincarato la dose: “In quel disegno di legge ci sono altre follie, ad esempio la definizione del sesso. Mi sveglio una mattina e decido che sono una donna, e posso usufruire delle quote rosa? È il mondo al contrario, il mondo in cui sul palco della festa dei lavoratori ci sono rapper miliardari che vendono lo smalto per unghie agli uomini”. Ciliegina sulla torta: “Se vogliamo dirla tutta, la mutazione genetica della sinistra italiana inizia negli anni Settanta, con l’avvento del femminismo e dell’ecologismo da salotto. La battaglia per i diritti civili è un’arma di distrazione di massa per coprire le nefandezze compiute sui diritti sociali”.

Trovare le differenze tra le posizioni di Rizzo e quelle dell’estrema destra sul tema dei diritti civili è pressoché impossibile: di fatto, sono sovrapponibili. Forse, però, una c’è: scorrendo i commenti dei suoi seguaci a qualche post su Facebook, l’emoticon più gettonato non è il manganello ma la piccozza. L’arma impropria con la quale venne ucciso dal sicario di Stalin in Messico Lev Trotsky. E il dittatore georgiano siede ovviamente al posto d’onore nel Pantheon del comunista Rizzo.

Ingroia: non sono mai stato comunista

Sono esattamente dieci anni che Antonio Ingroia, ex pm antimafia a Palermo, cerca di sfondare senza successo in politica. E’ il 2012 quando fonda “Rivoluzione civile”. Alle elezioni politiche del 2013 Ingroia si candida direttamente come premier. Dopo che la sua formazione ottiene il 2,25% alla Camera dei deputati e l’1,79%, al Senato non raggiunge le soglie di sbarramento. L’ex magistrato “allievo di Falcone e Borsellino ”, come ama ricordare, addossa la colpa dell’insuccesso al Pd e al suo segretario di allora Pierluigi Bersani. Ma, soprattutto, annuncia dalle pagine di Repubblica: “la battaglia continua”.

Intanto, dopo la sua candidatura, non potendo più svolgere le sue funzioni di magistrato in Sicilia, il Csm lo trasferisce ad Aosta. Trasferimento che non gradisce. Ingroia allora decide di diventare ex, abbandonando la toga. Segue subito il rilancio, con la nascita di una nuova formazione politica, Azione civile, che nel simbolo porta il suo nome. Tanto che il 16 novembre scorso Ingroia, abituato in passato a ben altri palcoscenici mediatici, rilascia un’intervista al sito Spraynews (2200 like su Facebook): “Mi occupo ancora di politica con il movimento Azione Civile che si occupa sempre degli stessi temi, legalità, giustizia e difesa dei diritti dei più deboli”. Quindi sgombra il campo da quello che ritiene un equivoco: “Non sono mai stato comunista. Ho avuto soltanto dei compagni di strada con i quali ho condiviso degli obiettivi e dei progetti. Ma ripeto non sono stato mai comunista, né tantomeno lo sarei ora”.

Proprio con un comunista, lo scomparso giornalista, ex corrispondente da Mosca dell’Unità, Giulietto Chiesa, principe dei complottisti, nel 2017 Ingroia lanciò “La lista del popolo – La mossa del cavallo”. “Ci rivolgiamo al 60% di elettori che hanno già deciso oggi di non votare alle prossime elezioni”, affermò Ingroia in conferenza stampa. Alle urne il 59 e passa per cento di quegli elettori non raccolse il suo appello: mise assieme lo 0,02% alla Camera e lo 0,03% al Senato.

Paragone intanto guarda sempre più a destra

Il fronte del complotto, come lo ha definito Leonardo Bianchi di Vice Italia nella sua newsletter, non si limita solo a Italia sovrana e popolare. Menzione d’obbligo è per Italexit di Gianluigi Paragone. L’ex senatore Cinque stelle, antivaccinista e sempre più su posizioni antiscientifiche, candida la vicequestore no Green Pass Nunzia Schilirò, sospesa dal servizio, e il leader della protesta al porto di Trieste contro la certificazione vaccinale Stefano Puzzer.

Paragone continua ad alzare sistematicamente: “Nessuno si era mai permesso di indire elezioni a settembre. O la politica e le istituzioni capiscono che il dissenso deve rimanere nel perimetro istituzionale o questo dissenso andrà fuori”, ha twittato il 3 agosto.

Paragone si è candidato come sindaco di Milano alle scorse elezioni comunali di settembre 2021, raccogliendo il 2,99 per cento dei voti, rimanendo escluso per poche preferenze dal Consiglio comunale. Il leader di Italexit, visto lo scarto di soli 43 voti dalla soglia di sbarramento, aveva chiesto il riconteggio delle schede. Lo scorso 19 febbraio è però emerso che in base ai nuovi calcoli della prefettura di Milano, i voti mancanti erano molti di più, oltre 1.500.

Per giorni la candidatura più forte di Italexit è sembrata essere quella dell’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno, ma l’ex sindaco della Capitale ha smentito la candidatura sui social, affermando però che al momento si sta «confrontando con tanti militanti provenienti da destra. Vedremo se tutto questo ci porterà a sostenere Italexit».

Alemanno, esponente di spicco della destra sociale, rappresenta l’ennesimo segnale del recente spostamento a destra di Italexit. A testimoniarlo è il fallimento dell’alleanza con Alternativa, un altro partito antisistema formato da un gruppo di parlamentari fuoriusciti dal M5s, prima annunciata e poi saltata perché, come affermato dallo stesso leader di Alternativa Pino Cabras «abbiamo riscontrato la presenza [in Italexit, anche in ruoli di capolista, di candidati organici a formazioni di ispirazione neofascista».

Adinolfi, più fortuna al poker che nelle urne

Un altro cartello elettorale della galassia complottista è quello di Alternativa per l’Italia, che vede alleati il Popolo della famiglia di Mario Adinolfi e il movimento Exit dell’ex leader di Casa Pound Simone Di Stefano. Il Popolo della famiglia, fondato da Adinolfi, ex deputato del Pd che nel 2007 aveva corso anche per la segreteria dem, è un partito che si definisce «aconfessionale e valoriale, di ispirazione cristiana», e che negli anni ha portato avanti battaglie contro l’aborto e contro, per esempio, il riconoscimento delle unioni civili tra coppie dello stesso sesso.

Abile giocatore di poker, Adinolfi ha meno fortuna con le urne: solitamente non si discosta da percentuali da prefisso telefonico. Non è andata meglio nel corso degli anni a Simone Di Stefano: due volte candidato sindaco di Roma, nel 2013 e nel 2016, non superando mai il 2 per cento dei voti. Nel 2013 è stato anche candidato presidente della Regione Lazio per il partito di estrema destra, ottenendo lo 0,79 per cento.