Bolla immobiliare Ponte sullo stretto niente copertura

Una macchina troppo grande per fermarsi senza deragliare. Questa, a conti fatti, sembra essere la parabola tormentosa del Ponte sullo Stretto di Messina, un’opera più volte annunciata, stoppata, rilanciata e ora nuovamente rimessa sotto la lente della Corte dei Conti. L’ultima sentenza – depositata martedì – non lascia margini: il nuovo decreto per la realizzazione del Ponte “viola le norme Ue” e comporta un “rischio di aumento dei costi oltre il 50%”. Come se non bastasse, mentre i finanziamenti per i trasporti pubblici vengono ridimensionati, il Ponte assorbe 15 miliardi, diventando il vero crocevia della manovra economica.

Che cosa dice la Corte dei Conti: profili giuridici, tecnici e ambientali bocciati

La vicenda giudiziaria dell’opera si è arricchita di un altro stop: i magistrati contabili, entrando nel merito del decreto interministeriale n. 190 del 1 agosto 2025, parlano di “inscindibile nesso” tra il provvedimento e la delibera del Cipess (anch’essa bocciata circa un mese prima). La corte afferma: “Deve concludersi per la non conformità a legge anche del decreto medesimo”. Criticità vengono evidenziate proprio sulla compatibilità europea: il decreto sarebbe incompatibile con l’articolo 72 della direttiva 2014/24/UE, che impone limiti alle modifiche dei contratti. La valutazione degli aggiornamenti progettuali – pari a circa 787 milioni – dipende da “un’attività di mera stima” che, secondo i giudici, “rende possibile il rischio di ulteriori variazioni incrementali, incidenti – in disparte i problemi di reperimento di nuove coperture – sul superamento della soglia del 50 per cento delle variazioni ammissibili”.

L’opera oggi è pagata interamente con soldi pubblici, mentre inizialmente si doveva almeno in parte finanziare con capitali privati. “La raccolta sul mercato di ulteriori risorse che, essendo l’opera interamente finanziata, non risulterebbero necessarie alla realizzazione della medesima, appare oggi una mera ipotesi priva non solo di necessità ma, altresì, di qualsiasi legittimazione”, annotano i giudici. In pratica, la natura del contratto stesso risulta sostanzialmente cambiata.

La manovra rimodula i fondi per il Ponte

La manovra, appena varata dal governo, deve assorbire lo shock giudiziario della nuova bocciatura. In Senato è arrivato lunedì l’emendamento che “rimodula” i fondi per il Ponte, confermando un posticipo di 780 milioni al 2033 “alla luce dell’aggiornamento dell’iter amministrativo e del non perfezionamento degli impegni relativi alle somme iscritte in bilancio nell’anno 2025 in conto residui rinvenienti dall’anno 2024″, spiega la relazione tecnica. Il valore complessivo – precisa il governo – resta “inalterato”, ma i tempi si allungano, e l’avvio dei cantieri si allontana.

Il maxiemendamento da 3,5 miliardi ridisegna anche sgravi e incentivi per le imprese (netto aumento dei fondi, proroga degli iperammortamenti fino al 2028), ma elimina – e qui qualcuno storcerà il naso – le maggiorazioni extra per investimenti “green”. Gli incentivi resteranno solo per beni “Made in Eu” e saranno articolati così: +180% fino a 2,5 milioni di investimento, +100% tra 2,5 e 10 milioni, +50% tra 10 e 20 milioni. Oltre quella soglia, nessuna maggiorazione.

“Con 5,4 miliardi di euro – l’investimento per la realizzazione e il prolungamento di 29 linee tranviarie in 11 città, pari a 250 chilometri di rete – sarebbe possibile costruire un sistema di mobilità urbana efficiente. Una cifra pari a circa un terzo del costo del Ponte (15 miliardi di euro per soli tre chilometri), ma con un impatto sulla vita di milioni di persone incomparabilmente superiore”, fa notare il dossier Pendolaria di Legambiente. Dal 2009 a oggi, le risorse nazionali per il trasporto pubblico sono scese da 6,2 miliardi a 5,18 (ma il loro valore reale è crollato del 35% con l’inflazione). Nel 2026 la perdita – in assenza di nuove misure – salirà al 38%. Nel mentre, il Ponte continua a drenare risorse.

Il report consegna un quadro a tinte fosche: “La carenza di trasporto pubblico sta diventando un drammatico fattore di esclusione sociale… muoversi diventa più costoso o addirittura impossibile per una parte crescente della popolazione”. Le reti metropolitane italiane si fermano a 272 chilometri contro i 680 del Regno Unito. Il Fondo nazionale trasporti non solo non viene rafforzato ma arretra, con milioni sottratti a Metro C di Roma, M4 di Milano e alla ferrovia Afragola-Napoli.