Home Politics Papa Francesco fa campagna elettorale? Ma la Chiesa non è una democrazia…

Papa Francesco fa campagna elettorale? Ma la Chiesa non è una democrazia…

Papa Francesco fa campagna elettorale? Ma la Chiesa non è una democrazia…

(di Sallustio Santori)

No, la Chiesa non è una nazione e di conseguenza il Papa non può essere eletto con una campagna elettorale. O meglio: non del tutto, non proprio ed a certe condizioni. Certo, a giudicare dall’attivismo di Papa Francesco che manda in giro per il mondo il cardinale presidente dei vescovi italiani Matteo Zuppi, porporato che al momento guida la diocesi di Bologna, uno il dubbio se lo fa venire.

Papa Francesco ed il futuro “Giovanni XXIV”

E se lo fa venire specie quando il Papa, di ritorno dalla Mongolia, nella sua conferenza stampa ad alta quota ha ben pensato di dire che sarà “Giovanni XXIV” il suo successore destinato a calcare il basolato della Città proibita con le sue scarpe malandate. Difficile che siano di nuovo scarpe rosse come quelle che portava Benedetto XVI, e che non erano di Prada (gliele aveva regalate un ciabattino novarese e, peraltro, il colore rosso voleva sottolineare l’effusione del sangue da parte del Romano Pontefice in quanto testimone della fede, quello che Jorge Mario Bergoglio si è ben guardato di fare davanti alla bara di Giorgio Napolitano non segnandosi “per non urtare la sensibilità” dei Napolitano. Ok…); magari saranno scarpe consumatesi in qualche periferia esistenziale del Terzo Mondo da uno sconosciutissimo cardinale, uno dei 91 nominati da Francesco nel corso del suo pontificato per un totale di elettori 137. Sarà quest’elite, ancora piena di italiani ed europei, ma con i sudamericani in crescita insieme ad africani ed asiatici, a scegliere il prossimo Vicario di Cristo. E sarà un’elezione difficilmente al primo colpo.

Peccato mortale: in Vaticano non si può fare campagna elettorale

Ma, detto questo, il dubbio rimane: chi sarebbe Giovanni XXIV, questo nuovo Papa che ovviamente dovrà avere lo spirito bonario dell’omonimo numero XXIII venuto nell’ottobre del 1958 da Venezia dov’era patriarca alla Chiesa riformare? Ah saperlo… lo sa solo Dio, e fin qui tutto bene: per la precisione lo sa lo Spirito Santo, che è Dio insieme al Padre e al Figlio, e che ha tra i suoi compiti il governo “per li rami” della Chiesa universale. Eggià, perché la Chiesa non è una democrazia e tutto proviene dall’Alto, anzi dall’Altissimo: illusorio, dunque, provare a fare una campagna elettorale.

Proprio perché la scelta del successore di Francesco non compete a lui, per quanto stia mettendo in evidenza il cardinale Zuppi, i cardinali dovranno avere le mani libere: e tocca alla Costituzione apostolica Universi Dominici Gregis varata da Giovanni Paolo II nel 1996 e successive integrazioni (le ultime ad opera di Benedetto XVI pochi giorni prima delle sue clamorose dimissioni) garantire libertà di voto su ispirazione dello Spirito Santo. E lo Spirito, si sa, soffia dove vuole.

Che cosa si deve osservare o evitare nell’elezione del papa

Ecco allora che il Capitolo VI – Ciò che si deve osservare o evitare nell’elezione del Sommo Pontefice – prescrive, canoni 78 e seguenti, i divieti del caso:

1. Non si diventa Papa per simonia, cioè comprandosi la carica pagando i voti (vi ricordate il Parlamento italiano qualche annetto fa? Ecco, una cosa simile): in questo caso ci si becca la scomunica latae sententiae, ossia automatica, su tutti quelli che hanno partecipato al mercato delle vacche (sacre, verrebbe da dire); il mercanteggiamento è nullo e si va all’inferno per direttissima sempre che il nuovo Papa non ve ne assolva (can. 78);

2. È vietato “a chiunque, anche se insignito della dignità del Cardinalato, di contrattare, mentre il Pontefice è in vita e senza averlo consultato, circa l’elezione del suo successore, o promettere voti, o prendere decisioni a questo riguardo in conventicole private” (can. 79). Attenzione: campagna elettorale sì, ma a patto che il Papa sia in vita, informato e d’accordo. Su questo torneremo tra poco;

3. Scomunica automatica fulminata su chi osasse “Ricevere, sotto qualunque pretesto, da qualsivoglia autorità civile l’incarico di proporre il veto, o la cosiddetta esclusiva, anche sotto forma di semplice desiderio, oppure di palesarlo sia all’intero Collegio degli elettori riunito insieme, sia ai singoli elettori, per iscritto o a voce, sia direttamente e immediatamente sia indirettamente o a mezzo di altri, sia prima dell’inizio dell’elezione che durante il suo svolgimento”. Non solo: tale proibizione è: “estesa a tutte le possibili interferenze, opposizioni, desideri, con cui autorità secolari di qualsiasi ordine e grado, o qualsiasi gruppo umano o singole persone volessero ingerirsi nell’elezione del Pontefice”. Niente manifestanti in piazza a sostenere l’elezione di chicchessia (can. 80);

4. No a: “patteggiamenti, accordi, promesse od altri impegni di qualsiasi genere”, che possano costringere a dare o a negare il voto ad uno o ad alcuni. Se ciò in realtà fosse fatto, sia pure sotto giuramento, decreto che tale impegno sia nullo e invalido e che nessuno sia tenuto ad osservarlo”; scomunica automatica pure qua. Non è in ogni caso vietato che durante la Sede Vacante ci possano essere scambi di idee circa l’elezione (can. 81);

5. Nulle e invalidi i programmi elettorali (capitolazioni, can. 82): non si prendono “impegni di comune accordo”, nemmeno sotto giuramento;

6. Non si vota per simpatia o avversione, non si influenza o ci si fa influenzare dal favore o dai personali rapporti verso qualcuno, “o spingere dall’intervento di persone autorevoli o di gruppi di pressione, o dalla suggestione dei mezzi di comunicazione sociale, da violenza, da timore o da ricerca di popolarità. Ma, avendo dinanzi agli occhi unicamente la gloria di Dio ed il bene della Chiesa, dopo aver implorato il divino aiuto, diano il loro voto a colui che anche fuori del Collegio Cardinalizio avranno giudicato idoneo più degli altri a reggere con frutto e utilità la Chiesa universale” (can. 83);

7. Chi viene eletto è invitato, pur avendo la possibilità di rifiutarsi, a “non sottrarsi all’ufficio, cui è chiamato, per il timore del suo peso, ma di sottomettersi umilmente al disegno della volontà divina. Dio infatti, nell’imporgli l’onere, lo sostiene con la sua mano, affinché egli non sia ìmpari a portarlo; nel conferirgli il gravoso incarico, gli dà anche l’aiuto per compierlo e, nel donargli la dignità, gli concede la forza affinché non venga meno sotto il peso dell’ufficio” (can. 86).

Il canone 79 arride a Francesco?

A questo punto, però, il canone 79 sembrerebbe giustificare l’attivismo di Bergoglio. Però il punto è: il Papa può contrattare anch’egli circa l’elezione del suo successore? Può promettere voti o prendere decisioni a questo riguardo? Difficile propendere per il sì. Diciamo che allora mettere in evidenza qualcuno non è altro che un modo per aggirare questo divieto: nessuno, da dentro la Chiesa (almeno che si sappia ad oggi) è andato da Francesco a informarlo di una campagna elettorale a favore di chicchessia; in compenso però il Papa, nell’affidare a Zuppi questi continui impegni diplomatici a discapito del collega Pietro Parolin, che è il capo della diplomazia vaticana in quanto Segretario di Stato (e dunque quello titolato ad agire in campo internazionale), mette in evidenza il porporato di Bologna senza dire “votate per Giovanni XXIV quando sarà il momento”.

Però i cardinali vedono, sanno, leggono i giornali e s’informano: e naturalmente chi è che va su tutti i giornali in questo momento, Zuppi o Parolin? E perché il riferimento proprio ad Angelo Giuseppe Roncalli in quel nome, Giovanni, che dunque sembra quasi prefigurare un programma intero? Roncalli che fu diplomatico, però, di carriera essendo stato Nunzio in svariati Paesi; uomo del dialogo e dell’apertura verso il mondo con il Concilio Vaticano II (si va verso un Vaticano III dopo Bergoglio?); uomo mite, bonario, sorridente, mai in collera: e, guarda un po’, uno così potrebbe essere proprio Zuppi. Ma non diciamolo a voce alta, noi non facciamo campagna elettorale né per l’uno, né per l’altro.

I precedenti più clamorosi. da Luciani a Pacelli

In realtà, in qualche modo, i Papi a volte hanno fatto capire chi avrebbero desiderato al Soglio di Pietro dopo la fine del loro pontificato. Se guardiamo al XX secolo, gli esempi più lampanti sono due e il più vicino a noi, nel tempo, risale al 1972: il 16 settembre di quell’anno Paolo VI è in visita a Venezia dove è Patriarca Albino Luciani, che nel 1978 gli succederà per 33 giorni come Giovanni Paolo I: ad un certo punto, davanti a ventimila veneziani, il Papa bresciano oggi Santo si toglie la stola, il paramento liturgico che indica il compito del vescovo di portare il gioco di Gesù, e la mette addosso a Luciani. Lui arrossisce violentemente ma per tanti è segno di un’investitura: il 5 marzo del 1973 il futuro Giovanni Paolo I diventa cardinale elettore e sarà eletto nel 1978.

Il secondo caso è ancora più eclatante: Eugenio Pacelli, cardinale Segretario di Stato di Pio XI, mandato negli anni ‘30 in giro per il mondo al punto di meritare il nomignolo di “cardinale volante”: tanta e tale era la sintonia tra i due che pare Pio XI abbia detto “Ciò che il Segretario di Stato dice è ciò che io penso”. Risultato: Pacelli venne eletto al primo giorno di conclave, il 2 marzo del 1939, al terzo scrutinio. Era pure il suo compleanno: non vorreste un regalo così?