Home Politics Moby Prince: se la speranza di una verità è nelle mani della politica

Moby Prince: se la speranza di una verità è nelle mani della politica

Moby Prince: se la speranza di una verità è nelle mani della politica

Perchè questo articolo dovrebbe interessarti? Una nuova Commissione d’inchiesta parlamentare per fare luce sulla tragedia del Moby Prince avvenuta 32 anni fa. Può davvero servire a qualcosa? La risposta, in questo caso, è sorprendentemente sì. Ma pare l’eccezione che conferma la regola

Moby Prince, il più grande disastro marittimo della storia italiana: la sera del 10 aprile del 1991 il traghetto di proprietà della Nav.Ar.Ma si scontrò con la petroliera Agip Abruzzo poco distante dal porto di Livorno. Nell’incendio che divampò persero la vita tutte e 140 le persone a bordo. Un disastro incredibile. Come incredibile è il fatto che a 32 anni di distanza non esiste ancora una verità giudiziaria. Dai processi non sono emersi colpevoli. Un mistero italiano, con più di un sinistro richiamo ad un’altra grande tragedia, quella di Ustica. Perchè sullo sfondo non mancano anche in questo caso ipotesi e ricostruzioni che rendono la vicenda un intrigo internazionale. Ci arriviamo.

L’istituzione di una nuova Commissione d’inchiesta sul Moby Prince

Il dato di cronaca è che la Camera dei Deputati ha approvato l’istituzione di una nuova Commissione d’inchiesta per cercare di fare luce sulla vicenda. E’ la terza in altrettante legislature, dopo quella del 2015-2018 e quella del 2021-2022. Cosa può fare una assemblea di parlamentari che non siano riusciti a fare anni di indagini sul campo e di dibattimenti nelle aule giudiziarie? Se sull’efficacia di molte commissioni d’inchiesta del recente passato (ma anche del presente) è lecito avere più di una riserva, la risposta nel caso specifico del  Moby Prince non può essere negativa. Perchè proprio dal lavoro delle due precedenti commissioni sono emersi elementi che restituiscono un quadro molto più dettagliato su quanto avvenuto nel 1991. Nella speranza che si traducano poi un giorno in verità giudiziarie.

E dunque: l’istituzione della terza Commissione d’inchiesta sulla strage è stata approvata mercoledì 18 ottobre con 282 voti favorevoli e tre soli astenuti. Il testo unitario nasce dalla proposta avanzata da Pietro Pittalis (Forza Italia) ed ha convinto tutte le forze politiche. Ha spiegato Pittalis: “Siamo qui per colmare un vuoto di verità e quindi un vuoto di giustizia dopo oltre trent’anni”. Ha aggiunto il capogruppo Pd in Commissione ambiente Marco Simiani: “E’ necessario che su questi obiettivi ci sia concordia tra tutte le forze politiche e che nessuno si intesti bandierine o cerchi visibilità elettorale. Auspico inoltre che le famiglie delle vittime, che hanno contribuito in maniera determinante alla stesura di questo provvedimento, siano pienamente coinvolte nelle attività della commissione di inchiesta. Il Moby Prince non diventi una nuova Ustica”.

La soddisfazione dei familiari delle vittime: “Verità processuali palesemente incomplete e infondate”

Soddisfatti i familiari delle vittime. Così Luchino Chessa (Associazione 10 Aprile-Familiari Vittime Moby Prince, figlio del capitano del traghetto) e Nicola Rosetti (Associazione 140): “La politica ha sempre risposto positivamente alle richieste di Commissione di inchiesta. Tutti i gruppi parlamentari hanno espresso parere positivo, un aspetto importante che fa capire come la strage del Moby Prince muove ancora le coscienze personali e collettive. Fin dall’inizio di questa legislatura ci siamo rivolti a tutte le forze politiche presenti in Parlamento per chiedere di completare il lavoro interrotto a causa dello scioglimento anticipato delle Camere l’anno scorso. Il parlamento ha ascoltato le richieste delle nostre associazioni e adesso, dopo più di 32 anni – proseguono – abbiamo la possibilità di arrivare alla verità sulle cause del più grande disastro della marineria italiana nel quale persero la vita 140 persone, che è anche la più grande strage sul lavoro con ben 65 membri dell’equipaggio morti adempiendo al proprio dovere“.

Come riconoscono gli stessi Chessa e Rosetti, è proprio grazie all’attività delle due precedenti commissioni di inchiesta che “sappiamo che le verità processuali sono state palesemente incomplete ed infondate“. I due familiari sintetizzano così: non c’era nebbia quella sera davanti il porto di Livorno, la vita a bordo del traghetto durò molto di più di mezz’ora, i soccorsi si diressero solo verso la petroliera di Eni Agip Abruzzo e dopo appena due mesi le parti sottoscrissero un accordo assicurativo (di fatto un accordo di non aggressione) che ha segnato tutta questa tragica vicenda: “Per noi familiari sono stati 32 anni di sofferenze, rabbia e frustrazioni; ma adesso si tratta di mettere la parola fine su quanto accaduto la sera del 10 aprile 1991. Abbiamo lottato, per molti anni da soli, per arrivare a questo punto; e non intendiamo fermarci adesso”.

E se grazie al lavoro delle due Commissioni, come auspicato dallo stesso presidente della Repubblica Sergio Mattarella, è scaturita cinque anni fa una nuova indagine per strage che la Dda di Firenze e la Procura di Livorno stanno portando avanti sottotraccia, emergono già indicazioni su quali saranno i punti su cui si concentrerà la terza commissione: l’identità della terza nave che avrebbe obbligato il traghetto ad una rotta di collisione con la petroliera Agip Abruzzo (come ipotizzato nelle conclusioni della seconda inchiesta parlamentare); le motivazioni del mancato coordinamento dei soccorsi verso le vittime del traghetto da parte di Capitaneria di Porto e Marina Militare; le ragioni dell’accordo assicurativo che già nel 18 giugno 1991 portò le compagnie armatoriali coinvolte a impegnarsi nel risarcimento ai familiari previa sottoscrizione di una quietanza con cui si precludevano la possibilità di essere parti offese nel processo penale.

Fedrighini e il libro inchiesta del 2005: quelle manovre delle navi militari Usa…

Un possibile spoiler? Tutti questi inquietanti interrogativi sono già stati trattati da Enrico Fedrighini, oggi consigliere comunale a Milano, nel libro-inchiesta pubblicato nel 2005 ed intitolato “Moby Prince, un caso ancora aperto”. Secondo l’autore, la petroliera Agip Abruzzo si sarebbe trovata ancorata in un punto vietato, con la prua rivolta a sud. Ad essere speronata dalla prua del traghetto è la fiancata destra. Questo significa che la Moby Prince era rivolta verso il mare aperto. Un fatto anomalo, perchè il traghetto era diretto verso la costa ad Olbia. Perchè il cambio di rotta? Fedrighini, ricostruendo nel 2022 sul Fatto quotidiano la vicenda, cita la relazione tecnica svolta dalla società di consulenza marittima Cetena Spa per conto della Commissione parlamentare: la Moby Prince avrebbe dovuto cambiare repentinamente rotta a causa di un ostacolo durante la navigazione. Quale? Nel suo libro Fedrighini delinea un possibile scenario.

Il porto di Livorno è collegato alla più importante base militare statunitense del Mediterraneo, Camp Darby. E quella sera il porto era pieno di navi cariche di materiale bellico made in Usa. In particolare, al porto di Livorno sarebbe stata presente la 21 Oktobar II della flotta Shifco, come testimoniato da un ufficiale della Guardia di Finanza. Attraccata per riparazioni, ufficialmente. Eppure, proprio quella sera effettuò il pieno di carburante. Come se dovesse salpare. L’aspetto forse più inquietante è che Fedrighini afferma di aver ricostruito questo ipotetico quadro semplicemente con “anni di lettura sistematica di tutti gli atti, documenti, verbali di interrogatorio e testimonianze prodotte nel corso dell’inchiesta. Occorreva far parlare le carte: e le carte, già allora, dicevano tutto”. La nebbia su cui indagare, insomma, non sarebbe quella calata sul porto di Livorno (che mai ci fu). Riuscirà la Commissione d’inchiesta a diradarla ulteriormente?

Post scriptum: ma storicamente le commissioni d’inchiesta parlamentare servono a ben poco

Post scriptum. La storia delle due commissioni d’inchiesta sul Moby Prince pare essere quella di un utilizzo virtuoso di uno strumento che se ben governato fornisce ai parlamentari prerogative proprie della magistratura, con addirittura una maggiore libertà d’azione data dalla mancanza di vincoli di tempo e dalla possibilità di procedere anche senza la presenza di nuove prove. Va allora detto che sembra trattarsi della classica eccezione rispetto ad una normalità fatta di usi distorti, politici e strumentali dello stesso strumento. Si pensi alle freschissime polemiche sulle commissioniCovid e sull’operato di Tridico all’Inps. “Fanno perdere tempo”, ha commentato tranchant Carlo Calenda. Forse già a partire dalla prima risalente al 1863, in tema di brigantaggio. Scrivendone poco tempo fa per l’Huffington Post, Ugo Magri ne ha contate circa novanta dalle origini della Repubblica. Disoccupazione, mafia, Belice, caso Sindona, caso Moro, loggia P2, fondi neri Iri, terrorismo, caporalato, rifiuti, femminicidi, morti sul lavoro. Questi alcuni dei temi protagonisti delle Commissioni d’inchiesta. Risultati? Zero. Obiettivo raggiunto, dunque. Come ricorda Magri, è noto che quando la Democrazia Cristiana voleva evitare che si accertasse come era andato qualcosa, proponeva una indagine parlamentare.

Il punto vero resta questo: se già le verità che escono dalle aule dei tribunali sono sospettate di parzialità, figuriamoci quale attendibilità può essere attribuita a conclusioni che giungono da quanto di più effimero, fazioso e volatile esista. Una maggioranza parlamentare.