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L’Italia ai piedi del Divo: Giannuli racconta la storia di Giulio Andreotti

L’Italia ai piedi del Divo: Giannuli racconta la storia di Giulio Andreotti

Su gentile concessione dell’autore e dell’editore pubblichiamo un estratto dell’ultimo libro del professor Aldo Giannuli, pubblicato da “Ponte alle Grazie”, Andreotti – Il grande regista“. Una biografia politica dello statista più longevo della storia repubblicana in libreria da oggi. Buona lettura!

A dieci anni dalla sua morte, la figura di Andreotti non ha trovato una sua soddisfacente collocazione sul piano storico. Il che non significa una valutazione unanime o quasi: questo non accade mai e anche su figure importantissime e assai remote, come Costantino, Carlo Magno o Napoleone, gli storici ancora si azzuffano, ma nessuno ne mette in discussione la statura storica.

Andreotti non ha una statura paragonabile ai tre che abbiamo appena citato, ma comunque è un personaggio di notevole rilievo nella storia europea della seconda metà del Novecento. E questo non è affatto scontato per molti. Andreotti è, con Craxi, il personaggio della storia repubblicana più controverso. Giudicato più che capito, su di lui si sono addensati giudizi apologetici e vituperi, riabilitazioni furiose e condanne inappellabili, e si sono sprecati «servi encomi e codardi oltraggi» (e più i secondi che i primi).

Partiamo, dunque, da alcune innegabili evidenze. È stato di gran lunga l’uomo di governo più duraturo della storia repubblicana: sette volte presidente del Consiglio, per un totale di circa sette anni e mezzo, ministro della Difesa per nove anni, degli Esteri per cinque e poi ministro di molti altri dicasteri come Finanze, Tesoro, Industria, Bilancio, per un totale di 36 anni di presenza nel governo, senza contare i sette anni come sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con De Gasperi. Una durata nettamente superiore a quella di qualsiasi altro uomo di governo dell’intera storia italiana dal 1861. In realtà, Andreotti è stato uno dei politici di maggior spicco dell’Italia repubblicana e non solo, perché ha avuto una influenza notevole sulla politica sia italiana che vaticana ma anche nel quadro internazionale. Qualche confronto può essere istruttivo.

Andreotti è stato politicamente attivo dal 1944 fin quasi al 2013, quindi approssimativamente per 69 anni, considerando anche il periodo successivo alla sua uscita dal primo piano della politica (ma anche dopo è restato attivo sia in Senato sia partecipando a convegni come i meeting di Cl, scrivendo libri, e dirigendo una rivista).

Come paragone vengono in mente solo nomi come quello di Luigi XIV, che regnò per 72 anni, di Francesco Giuseppe, che regnò per 68 anni, e della regina Vittoria, che regnò per 63 anni. Fra i politici di lungo corso del Novecento ricordiamo Churchill e Mitterrand, che furono attivi politicamente per oltre mezzo secolo, comunque meno di 60 anni. Quanto a Bismarck, De Gaulle, Crispi, Francisco Franco, Brandt, Mussolini, Giolitti, durarono intorno ai 40-50 anni. Naturalmente, la lunga durata non significa automaticamente che l’uomo politico abbia grandi meriti: Pio IX, con i suoi 32 anni di pontificato è stato, dopo san Pietro, il papa che ha regnato più a lungo e Vittorio Emanuele III è stato un re che ha regnato per 46 anni, ma entrambi hanno prodotto più che altro disastri.

Tuttavia, la lunga durata politica è comunque indice di rilevanza politica che si riversa nel giudizio storico. Andreotti è stato sulla scena per un sessantennio e la sua eccezionale longevità politica non si spiega solo con quella biologica. Ciò pone un primo problema: spiegare come sia potuto accadere, considerato che altri politici italiani, come Nenni, Saragat, Fanfani, Pertini, per citarne alcuni, hanno superato i 90 anni ma hanno totalizzato una vita politica attiva più breve e con minore presenza di governo. Uniche parziali eccezioni Emilio Colombo e Giorgio Napolitano.

Dunque dobbiamo cercare di capire qual è stato il segreto di questa durata lunghissima. Per questo svolgeremo una serie di considerazioni sul suo peculiare modo di fare politica, ricorrendo alla metafora del cavallo negli scacchi: ci spiegheremo nelle conclusioni. E, per di più, non dobbiamo dimenticare il prestigio internazionale di cui ha goduto a lungo (lo vedremo in particolare a proposito della riunificazione tedesca). In questo lunghissimo periodo Andreotti ha affrontato dal governo molte fasi politicamente delicate come la guerra fredda, la strategia della tensione, il terrorismo, il superamento dell’equilibrio bipolare, l’unificazione europea, le crisi economiche ecc. rivestendo un ruolo di primissimo piano.

Ovviamente, le sue scelte possono essere criticate anche duramente e chi scrive queste pagine esprime giudizi assai critici in proposito, come si vedrà nel corso del libro. Ma restano scelte che hanno condizionato, nel bene o nel male, la storia di questo paese, e talvolta anche dell’Europa. E allo storico spetta il compito di analizzare le conseguenze politiche delle azioni dei vari personaggi, mentre assai meno rilevante è il giudizio morale sul loro operato: che ce ne facciamo del voto in condotta agli antenati?