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Cinque lezioni per l’Europa del voto in Francia

Elezioni Francia ballottaggio

La Francia ha votato per il primo turno delle elezioni legislative e dalla partecipazione massiccia alle urne della tornata che ha visto in testa il Rassemblement National di Marine Le Pen e Jordan Bardella (oltre il 33% assieme agli alleati di destra), tallonato dal Nuovo Fronte Popolare che riunisce le sinistre (28,5%), e staccata Ensemble, la coalizione presidenziale di Emmanuel Macron (attorno al 20%) si possono trarre molte interessanti lezioni.

Le sfide della Francia

La Francia è un sistema-Paese che fa storia a sé su molti fronti, con una presidenza quasi monarchica nelle sue prerogative, ma è nelle fasi di crisi che l’Esagono può trasmettere interessanti lezioni valide per il Vecchio Continente. Il primo dato, importante, è quello del volo dell’affluenza, ai massimi da oltre quarant’anni per il rinnovo del Parlamento, che indica un dato di fatto decisivo: in Francia gli elettori hanno sentito, complice la strutturazione del voto su 577 corse per altrettanti seggi, il voto anticipato convocato da Macron come cruciale per il loro futuro. Esattamente due terzi dei transalpini, il 66,7% degli aventi diritto, ha espresso il suo voto. E il fatto che i risultati abbiano amplificato il dato dei sondaggi, senza sovvertirlo, ci ricorda come sia difficile pensare, secondo tema, a “maggioranze silenziose” nascoste nell’ampia platea degli astenuti.

Torna il bipolarismo

Quando un potere verticistico e spesso percepito lontano dal Paese reale come quello dell’Eliseo di Macron riaffida ai cittadini francesi il compito di determinare il futuro del proprio Parlamento dopo il trauma delle Europee, la popolazione, spesso polarizzata su molti temi ma concorde nella critica del Presidente, ne approfitta. E veniamo al terzo punto: il calo di Macron mostra il ritorno di un vero bipolarismo destra-sinistra, in una forma più polarizzata rispetto al passato. La Francia conferma quanto già in Italia, Spagna, Portogallo, Grecia si stava manifestando: è forse tramontata l’epoca dei partiti-perno “né di destra né di sinistra” o, opportunisticamente, ora di centro-destra ora di centro-sinistra come Renaissance, la formazione di Macron. Il calo di Renew Europe, gruppo liberale macroniano, alle Europee lo confermava. Il voto transalpino lo ha ribadito.

L’interclassismo come meta

Il quarto punto, confermato dai sondaggi Ipsos sulla demografia del voto, è che nelle tornate elettorali importanti sono premiate le forze interclassiste. Rn e Nfp lo hanno saputo essere, pur con specificità: i lepenisti volano nelle piccole e medie città, nelle persone di mezza età, nell’elettorato cattolico, tra gli operai; i frontisti di Jean-Luc Mélenchon e alleati sono in testa ampiamente nelle città oltre i 200mila abitanti, nel voto giovanile, tra gli universitari, i quadri intermedi, l’elettorato più laicista. Ma entrambi i campi raccolgono consensi non troppo distanti dalla loro media in praticamente ogni sotto-sezione economica, sociale, demografica. Così come successo nella costruzione delle coalizioni vincitrici in molte elezioni europee e come, in Italia, confermano i trend dei primi due partiti, Fratelli d’Italia e Partito Democratico.

La Francia alla prova della corsa al potere lepenista

Quinta e ultima lezione per l’Europa è il fatto che in Francia la costituzione del “fronte repubblicano” anti-Le Pen procede a tentoni, tra il ritiro dei Repubblicani di centro-destra da un’alleanza sistemica in tal senso, i veti di molti macroniani sugli esponenti di sinistra più radicali nei collegi contesi e le scorie di una campagna che ha visto il Fronte Popolare tacciare il capo di Stato di essere una versione moderna di una Maria Antonietta insensibile alle sofferenze del popolo, gravato da caro-vita, inflazione e incertezza. Per questo le possibilità del Rassemblement di avvicinarsi alla maggioranza assoluta sono non dominanti, ma nemmeno insignificanti. Che lezione si può trarre? Il fatto che spingere alla cacciata ed esclusione esplicita di una parte politica quando essa diventa, strutturalmente, un’alternativa di sistema rischia di creare l’effetto opposto.

Dopo aver conteso l’Eliseo a Macron con Marine Le Pen al ballottaggio nel 2017 e 2022 alle presidenziali e dopo tre tornate di Europee consecutive (2014, 2019, 2024) da primo partito il Rassemblement non può più esser visto, come ha ricordato Gilles Gressani ai nostri microfoni, solo come un corpo estraneo ma come una componente politica a tutti gli effetti che forte del consenso ha comprensibili aspirazioni di governo.

Una lezione per l’Europa

Può piacere o meno, ma ignorare queste frange della politica sperando nel barrage come unica soluzione non è detto si riveli la soluzione vincente. E presto o tardi ciò che oggi vale per la Francia potrebbe valere per l’Europa. In cuor suo, forse Macron pensa di poter schiacciare un eventuale governo Bardella-Le Pen tra l’incudine dell’Eliseo e il martello della Commissione Europea. Ma nessuno è pronto davvero alla sfida della coabitazione. Che potrebbe creare un’inedita situazione di lotta tra poteri all’americana nel cuore dell’Europa. Dopo il 7 luglio, giorno dei ballottaggi, capiremo quanto di questi scenari si concretizzeranno per la Francia e l’Europa.