Home Economy L’Italia vuole smarcarsi dal gas russo ma – sorpresa – i tubi libici sono rotti

L’Italia vuole smarcarsi dal gas russo ma – sorpresa – i tubi libici sono rotti

L’Italia vuole smarcarsi dal gas russo ma – sorpresa – i tubi libici sono rotti

Perché questo articolo potrebbe interessarti? Dallo scoppio della guerra in Ucraina, l’Italia è alla ricerca di nuove fonti di approvvigionamento di gas e la Libia ha da subito costituito una via importante da percorrere. Ma ora, come confermato a TrueNews dall’analista e giornalista Alessandro Scipione, si scopre che nel 2022 il gas libico diretto verso il nostro Paese è addirittura diminuito. E l’instabilità di Tripoli c’entra solo marginalmente: il vero problema sta nella mancata manutenzione delle infrastrutture

Quando si fa riferimento alla Libia, spesso si pensa al petrolio. Del resto, il greggio libico per Tripoli rappresenta la quasi totalità degli introiti nel proprio bilancio ed è ambito da molti Paesi per la vicinanza geografica dei giacimenti. Ma nel sottosuolo della Libia c’è anche il gas. E, per l’Italia specialmente, questa risorsa negli ultimi anni è diventata vitale.

Roma, fortemente dipendente dal gas russo prima dello scoppio della guerra in Ucraina, ancora oggi risulta impegnata nella ricerca di fonti alternative a quelle offerte da Mosca. La Libia in tal senso potrebbe potenzialmente rappresentare un’importante valvola di sfogo. Dall’altra parte del Mediterraneo però di gas nel 2022 ne è arrivato di meno. E anche per l’anno in corso le previsioni non sono delle più rosee. “Il problema – ha dichiarato il giornalista Alessandro Scipione di AgenziaNova su TrueNews – è che l’inaffidabilità libica non dipende solo dalla persistente crisi politica. Di gas ne arriva di meno perché mancano le infrastrutture, molte sono vecchie e altre sono state danneggiate e mai riparate”.

Niente manutenzione e niente ricerca, così il gas libico si perde

È bene ricordare che le importazioni italiane di gas dalla Libia corrispondono a poco meno del 5% del totale. Una cifra ben inferiore a quella relativa al gas algerino o qatariota. Tuttavia, le risorse situate sotto le dune del Sahara libico sono importanti per due motivi: la vicinanza geografica e l’esistenza di infrastrutture in grado di trasferire direttamente il gas in Italia, senza bisogno di navi e senza necessariamente costruire altre infrastrutture nel nostro Paese.

Per questo, dopo la scelta di dire addio al gas russo, la Libia è subito apparsa come un’alternativa importante da sondare. Ma di gas, all’interno del Greenstream (il condotto inaugurato nel 2004 che collega la Tripolitania con Gela), ne scorre sempre di meno. “Gli ultimi dati resi noti dagli stessi libici – ha confermato Alessandro Scipione – sono emblematici”.

In settimana infatti l’ente libico che si occupa di supervisionare la produzione di gas, ha reso pubbliche le cifre relative al 2022: “L’esportazione verso l’Italia è calata – sottolinea Scipione – all’interno del Greenstream sono stati introdotti meno di 87 miliardi di piedi cubi di gas, una cifra inferiore alla potenziale portata del gasdotto”.

Libia, una storia di gas a interruzione

Si potrebbe pensare che la causa del ridimensionamento dell’export di gas sia legata alla persistente instabilità del Paese nordafricano. La Libia infatti, dalla caduta di Gheddafi avvenuta nel 2011, non ha più conosciuto un momento di pace. Oggi non esiste un vero e proprio Stato libico, sul territorio operano almeno due governi e un’infinità di milizie corrispondenti grossomodo alla storica divisione tribale della società. Eppure la guerra e la politica questa volta c’entrano solo marginalmente.

“Il vero fatto – ha dichiarato Scipione – è che in Libia di gas ce n’è sempre meno. E quello che c’è, spesso si perde. Con un persistente stato di guerra, nessuno ha pensato più a fare la manutenzione degli impianti e a ricercare altro gas, nemmeno al di sotto dello specchio d’acqua antistante la Libia”. Andando a guardare i dati resi noti dai libici, spicca come il 22% del gas estratto è soggetto al fenomeno cosiddetto del “gas flaring”. Gas in eccesso, impossibile da esportare e da inserire nei condotti: “Si tratta di materiale – ha specificato Scipione – che semplicemente si brucia, si perde perché mancano le strutture adeguate per poterlo usare”.

A questo occorre aggiungere che, sempre secondo i dati libici, la produzione generale di gas nel 2022 è calata dell’8% e il 41% di quanto estratto viene usato per usi interni. Tra materiale disperso, mancanza di ricerca di nuovi giacimenti e calo della produzione, il Greenstream rischia di diventare una cattedrale nel deserto.

L’Italia rischia di perdere un’importante fonte di approvvigionamento

Il fatto ancora più grave è che probabilmente il trend registrato lo scorso anno non è destinato a rimanere un episodio isolato. Più semplicemente, la riduzione dell’export di gas da parte della Libia ha a che fare con nessi più marcatamente strutturali, impattanti anche nel lungo periodo. “Sembra difficile risolvere i problemi nel giro di poco tempo – ha rimarcato il giornalista Alessandro Scipione ai nostri microfoni – si tratta di situazioni che vanno avanti da diversi anni”.

Alcune soluzioni però ci sarebbero: “Ad esempio – prosegue il giornalista – si potrebbe investire sulla ricerca off shore, davanti le coste libiche molto probabilmente ci sono giacimenti ancora inesplorati”. Per farlo però ci vogliono soldi e investimenti. Di per sé, questo non costituirebbe un problema: l’Italia ad esempio, in occasione dell’ultima visita di Giorgia Meloni in Libia, ha messo sul piatto accordi per otto miliardi di Euro che prevedono, tra le altre cose, nuovi impianti off shore.

Gli accordi però, in un Paese che continua a essere instabile e ostaggio di divisioni e frammentazioni tanto di natura politica quanto militare, rischiano di diventare presto carta straccia. Stringere intese con le autorità libiche, potrebbe rappresentare quasi un azzardo.  Nel frattempo, il gas libico continua a perdersi e le infrastrutture continuano a marcire.

Roma costretta a pagare di più per il gas

Di questo passo, non solo Tripoli non potrà rappresentare una valida alternativa per diversificare le fonti di importazione, ma occorrerà lavorare per sostituire la quota riguardante il gas libico nel nostro mercato. “L’Italia di questo ne è consapevole – ha dichiarato Scipione – tanto è vero che pochi giorni fa sono stati sottoscritti accordi con il Qatar per aumentare le importazioni da Doha entro il 2026”.

La quota libica dunque potrebbe essere sostituita aumentando la quota qatariota. Ma il prezzo da pagare per l’Italia è molto salato. Il Qatar è più lontano e non esistono gasdotti che portano direttamente il materiale estratto nella nostra rete. Occorre quindi usare le navi e costruire più rigassificatori.

“Le navi provenienti dal Qatar dovrebbero approdare a Piombino – rimarca il giornalista sentito da TrueNews – il costo di questa operazione non si conosce perché i prezzi sono coperti dal segreto aziendale. È chiaro però che Roma spenderà molto di più tra navi e assicurazioni”. In poche parole, il gas non mancherà ma si spenderà sempre di più per averlo. La mancanza dell’alternativa libica si farà sentire soprattutto sul costo finale dei contratti e (forse) anche delle bollette.