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In Italia l’autunno sarà caldo solo sul fronte climatico

In Italia l’autunno sarà caldo solo sul fronte climatico

Perché questo articolo potrebbe interessarti? Si è tornati a parlare di autunno caldo, con riferimento alle possibili proteste contro le attuali condizioni economiche e alla possibile “bomba sociale” generata dallo stop al reddito di cittadinanza. Tuttavia nell’ultimo decennio in Italia crisi di questo genere sono state assorbite senza tumulti di piazza. E anche gli allarmi sul prossimo autunno potrebbero essere presto ridimensionati

Quando l’estate, almeno sul calendario, volge al termine a livello politico oramai è consuetudine introdurre una precisa espressione. Quella di “autunno caldo”. Il presupposto è dato dalla presunta “pax” sociale e politica garantita dall’estate e, in particolar modo, da agosto e dalla pausa ferragostana. Finite le ferie cioè, con gli italiani nuovamente concentrati sulla propria quotidianità, il Paese potrebbe essere pronto a dar sfogo al proprio malcontento.

Oggi il timore di avere un autunno caldo è basato sulla fine del reddito di cittadinanza, misura che negli ultimi anni ha tenuto a bada molte periferie difficili. A Napoli, così come in altre città del sud, contro il taglio del reddito, voluto dal governo Conte I nel 2018, sono state già organizzate diverse manifestazioni. Ma non è detto che si arrivi per davvero a un autunno caldo. Anche perché, tralasciando i fattori climatici e le temperature ancora alte tra settembre e ottobre, negli ultimi anni gli autunni sono stati piuttosto “freddi”. E senza gravi scossoni sociali.

Le prime manovre di Monti e i primi cenni di malcontento

Di crisi economica in Italia si è iniziato a parlare, così come in tutta Europa, a partire dal 2007/2008. Da quando cioè la crisi del sistema finanziario, evidenziata dal fallimento negli Usa della banca Lehman Brothers, ha fatto temere sulla tenuta dell’economia reale. Negli anni successivi, sia a livello nazionale che continentale la situazione è peggiorata. In diversi Paesi sono state introdotte misure di austerità importanti, concernenti anche aumenti delle tasse e stretta su salari e stipendi. La Grecia in tal senso ha rappresentato il caso più lampante.

Dal 2009 in poi ad Atene, su spinta delle istituzioni finanziarie continentali e dei governi più intransigenti, sono stati varati piani che hanno avuto un impatto molto profondo sulla società. Gli scontri di piazza andati avanti da quell’anno e per almeno diverse stagioni, hanno fatto ipotizzare analoghi scenari negli altri Paesi colpiti dalla scure dell’austerità. Come ad esempio in Spagna, dove nel 2011 è nato il movimento degli “indignados”.

La tensioni sociali all’orizzonte

Con l’Italia sempre più nella morsa della crisi finanziaria, nel nostro Paese tra il 2010 e il 2011 si è parlato sempre più insistentemente di autunno caldo. La manifestazione del 15 ottobre 2011, sfociata in episodi di guerriglia urbana nel centro di Roma, ha destato non poco scalpore ed è apparsa all’epoca come presagio di quello che aspettava la penisola nei mesi successivi. Anche perché in quel momento si era alla vigilia di un drammatico passaggio politico: Silvio Berlusconi, da tre anni a capo del suo quarto esecutivo, aveva oramai perso la maggioranza in parlamento ed era incalzato dall’aumento dello spread e dallo spettro di crisi finanziarie sempre più pesanti.

L’8 novembre 2011 ha quindi presentato le dimissioni, con l’allora capo dello Stato Giorgio Napolitano che ha affidato l’incarico al tecnico Mario Monti. Quest’ultimo, incassata una larga e trasversale maggioranza parlamentare, ha subito lasciato intendere la volontà di varare riforme drastiche per riequilibrare la spesa pubblica.

L’approvazione della Legge Fornero sulle pensioni, l’aumento delle accise sulla benzina, l’introduzione dell’Imu e il taglio di fondi per sorreggere la cosiddetta “spending review”, sono stati elementi visti all’epoca come veri e propri detonatori sociali. Misure pronte cioè a far scatenare l’ira e il malcontento nelle piazze. In realtà, l’episodio del 15 ottobre 2011 si è poi rivelato isolato. A parte la parentesi della protesta del cosiddetto “movimento dei Forconi”, partita nel gennaio 2012 dalla Sicilia e poi dilagata nel resto d’Italia, non ci sono state in seguito grandi mobilitazioni. E sotto il profilo dell’ordine pubblico, la situazione anche negli anni successivi non è mai degenerata. Non si è quindi avuto lo stesso scenario visto soprattutto ad Atene e Madrid.

Il Jobs Act di Renzi e i nuovi timori per un autunno caldo

Lo spettro dell’autunno caldo però ha continuato ad alimentare i dibattiti politici anche negli anni seguenti. A destare particolare attenzione è stato soprattutto il malcontento popolare verso la classe politica. Lo stesso insediamento dell’esecutivo tecnico di Mario Monti, in un primo momento è stato salutato positivamente dall’opinione pubblica proprio per la sfiducia nei confronti dei partiti. Più volte dal 2013 in poi, a fine estate puntualmente si è parlato di Paese prossimo ad attraversare delicate fasi di proteste e mobilitazioni.

Oltre al malcontento, a far parlare molti analisti di autunno caldo è stato anche il generale stallo dell’economia italiana. Tra crescita lenta, una ridotta capacità di acquisto delle famiglie e una tassazione percepita come molto elevata, spesso si è arrivato a ipotizzare la nascita di una “rivolta sociale” lungo tutta la penisola.

Come va il mercato del lavoro

C’è poi un elemento politico importante da considerare e riguarda l’arrivo a Palazzo Chigi di Matteo Renzi. Subentrato a Enrico Letta nel 2014, l’allora segretario del Pd ha promesso importanti riforme sul mercato del lavoro. Un tema quindi tra i più sentiti e delicati, capace in epoche passate di mobilitare intere categorie. L’ex sindaco di Firenze, pochi mesi dopo il suo insediamento alla guida del governo, ha varato due decreti noti poi con il nome di Jobs Act. Al loro interno sono state inserite norme volte a rendere, secondo le intenzioni dell’esecutivo, più flessibile il mercato del lavoro.

Il Job Acts è stato poi via via applicato nei due anni successivi con diversi decreti legislativi. Del marzo del 2015 è il decreto con cui di fatto si è abolito l’articolo 18 dello statuto dei lavoratori. Per questo, nell’estate seguente, si è discusso molto della possibilità di una generale mobilitazione da parte di ampie categorie di lavoratori tali da generare, per l’appunto, un autunno caldo. Anche in quell’occasione però i timori sono stati smentiti.

La questione relativa al reddito di cittadinanza

Oggi per l’appunto lo spettro dell’autunno caldo è alimentato soprattutto dallo stop al reddito di cittadinanza. Quando molte famiglie, è il pensiero maturato in alcuni media e in alcuni ambienti sindacali, si ritroveranno impossibilitate ad arrivare alla fine, molte periferie potrebbero essere ingoiate dalla morsa dei disordini. Tuttavia non è solo per il reddito a preoccupare. L’Italia sta attraversando una fase molto difficile su più fronti. Il rincaro dei prezzi dell’energia, l’aumento costante di quelli della benzina, l’inflazione ancora non del tutto sotto controllo, stanno rendendo sempre più difficile la situazione a milioni di cittadini.

I segnali per il prossimo autunno

Dalle parti del governo però si ostenta tranquillità. Il ministro del Lavoro e per le Politiche Sociali, Marina Elvira Caldirone, ha smentito i sospetti su un’imminente “bomba sociale”. “Il Reddito di cittadinanza – ha dichiarato nei giorni scorsi su Rtl 102.5 – finisce ma dal primo settembre partono altre misure per il supporto alla formazione e al lavoro. Io non ho segnalazioni di una bomba sociale, né dal mio ministero né dagli Interni o dai Prefetti. I numeri sono assolutamente gestibili”.

È probabile che anche al Viminale siano ben coscienti di come gli allarmi di oggi assomiglino molto a quelli, poi rivelatisi se non falsi quantomeno “gonfiati”, degli anni passati. Anche il prossimo autunno cioè, molto probabilmente non sarà così caldo. Almeno sul fronte politico. L’Italia, rispetto a Paesi come la Francia dove il malcontento viene spesso messo in scena soprattutto nelle piazze, ha delle proprie peculiarità. In primis, il malessere avvertito nella società e nell’opinione pubblica nell’ultimo decennio è stato in qualche modo “assorbito” e incanalato su un piano politico. Molti italiani hanno votato liste e movimenti, come ad esempio il M5S, emersi in contrapposizione ai partiti cosiddetti tradizionali.

In secondo luogo, anche se il malcontento popolare è in aumento e le condizioni economiche appaiono fortemente segnate dal Covid e dalla guerra in Ucraina, non c’è una forte radicalizzazione dello scontro sociale e politico. Lo si nota anche dal calo degli elettori alle urne. La gente preferisce rimanere a casa e non partecipare al processo decisionale, sia perché disillusa e sia perché oramai lontana dalla vita politica. Per questo è difficile scorgere all’orizzonte grandi mobilitazioni. Eventuali chiamate a raccolta delle parti sociali non sembrano in grado di scaldare piazze e cittadini.