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L’ambasciatore dei Talebani sbarca a Pechino: un avvertimento all’Occidente

L'ambasciatore dei Talebani sbarca a Pechino: un avvertimento all'Occidente Cina XI Jinping

Perché leggere questo articolo? I Talebani fanno affari con la Cina. Un monito all’Occidente: c’è una parte di mondo che guarda oltre i suoi veti. E Pechino la guida.

Nella giornata di martedì 30 gennaio a Pechino il presidente cinese Xi Jinping ha accettato le credenziali di Mawlawi Asadullah Bilal Karimi, ambasciatore del governo dei Talebani in Afghanistan presso la Repubblica Popolare. Una mossa che non equivale all’accettazione da parte di Pechino della legittimità dell’Emirato Islamico che nel 2021 ha rovesciato la repubblica dell’Afghanistan sostenuta dall’Occidente ma che mostra una conferma del pragmatismo della Cina. L’Afghanistan, ora governato dagli “Studenti Coranici” che vi hanno instaurato vent’anni dopo l’invasione americana un regime teocratico e autoritario, continua a esistere. E la Cina vuole continuare a coltivare i suoi interessi.

Il Medio Oriente è in caos, la Cina ne approfitta

La stretta di mano tra Xi e Karimi, nominato a novembre dalla Guida Suprema dei Talebani, Hibatullah Akhundzada, e dal Primo Ministro Hasan Akhund, è un monito all’Occidente. Alla consapevolezza, cioè, che c’è un mondo che va avanti e spesso non si cura delle dinamiche politico-ideologiche care al campo guidato dagli Stati Uniti. Primum inter pares nell’ordine globale, ma non più titolato al ruolo di decisore assoluto.

Il 7 ottobre 2001 iniziava l’invasione americana dell’Afghanistan dopo gli attentati alle Torri Gemelle, volta a catturare Osama bin Laden e rovesciare i Talebani e l’Occidente sembrava aver il pallino del gioco in mano nel Grande Medio Oriente. Ventidue anni dopo esatti, il 7 ottobre scorso, l’attacco di Hamas a Israele scatenava una tempesta regionale che mostrava come questa illusione fosse vana. Nel mezzo, una serie di grandi crisi e sconvolgimenti. Culminate il 15 agosto 2021 nella caduta di Kabul in mano ai Talebani.

Così la Cina sdogana i Talebani

Pechino, pur appannata dal Covid-19 e dal “fiatone” del suo sistema economico interno, rimane capitale capace di un interesse autonomo e di una proiezione regionale. Il radicale pragmatismo di Xi Jinping e della Repubblica Popolare Cinese ha portato il governo della Città Proibita a muoversi su un’agenda assertiva nel Medio Oriente allargato. La pacificazione indotta tra Iran e Arabia Saudita ha contribuito a togliere il terreno dai piedi degli Usa nella regione; sui casi degli attacchi dei ribelli Houthi alle navi cargo la Cina si è tenuta neutrale, ricevendo un lasciapassare per i suoi convogli; in questo campo si è consumata la distensione coi Talebani.

A maggio, ad esempio, come padroni de facto dell’Afghanistan i Talebani sono stati invitati a colloqui trilaterali in Pakistan dalla Cina. Il ministro degli Esteri cinese Qin Gang ha avuto colloqui con il ministro degli Esteri ad interim dell’Afghanistan Amir Khan Muttaqi e il suo omologo pakistano Bilawal Bhutto Zardari ripristinando il tradizionale trilaterale annuale Cina-Pakistan-Afghanistan.

Litio e terre rare, il tesoro dell’Afghanistan che fa gola alla Cina

E non importa che l’Afghanistan globalmente riconosciuto sia un altro, un apparato politico senza sovranità statuale, e che diversi Paesi, a partire dagli Usa, definiscano i Talebani un gruppo terroristico.

La Xinjiang Central Asia Petroleum and Gas Company, un’attivissima società cinese, è entrata in Afghanistan per cercare risorse naturali da acquisire a vantaggio di Pechino. E i Talebani hanno comunicato nello stesso periodo che Gochin, una compagnia mineraria cinese, sarebbe disposta a mettere 10 miliardi di dollari sul campo per sviluppare l’estrazione di litio e terre rare in Afghanistan. Pechino vuole dominare la transizione energetica globale e all’interno del Paese centroasiatico si nascondo risorse preziose per perseguire tale obiettivo.

In un comunicato vergato col perfetto stile del memorandum governativo o aziendale, Hadith Shahabuddin Delavar, ministro delle Miniere e del Petrolio dell’Emirato, si è pure beato dei potenziali risultati economici dell’accordo: da esso ” beneficeranno direttamente più di 120.000 persone. Milioni di persone otterranno un lavoro per l’indotto”.

Il patto infrastrutturale tra Pechino e i Talebani

Nell’interesse cinese c’è anche lo sviluppo di una serie di infrastrutture per facilitare i commerci sull’Hindu Kush e il Pamir e integrare l’Afghanistan e il Pakistan via autostrade e reti di vario tipo.

In una sua analisti il centro studi Amistades ha ricordato che “la Cina sembrerebbe interessata a estendere il Corridoio economico Cina-Pakistan (CPEC) verso l’Afghanistan” nel quadro della Belt and Road Initiative. Lanciato nel 2013, il CPEC, ricorda Amistades, “è incentrato sulla costruzione di infrastrutture chiave, tra cui l’autostrada transfrontaliera del Karakoram e la costruzione del nuovo aeroporto internazionale di Gwadar, nella provincia pakistana del Balochistan. I leader cinesi avrebbero già negoziato un accordo con le autorità di Kabul per investire in infrastrutture afgane nell’ambito della Belt and Road Initaitive. Di importanza particolarmente strategica, inoltre, sarebbe il Corridoio di Wakhan, una striscia di terra di circa 98 km che collega la Cina all’Afganistan e una delle vie storiche della Via della Seta“. Un’arteria che la Cina non vuole veder chiusa a lungo.

Il caso Michigan e lo schiaffo di Pechino agli Usa

Pechino sfrutta il dividendo della globalizzazione a suo vantaggio e, paradosso dei paradossi, il litio estratto in Afghanistan potrebbe arricchire i Talebani e contribuire all’espansione del capitalismo di Stato cinese nel territorio del rivale americano. Nella scorsa primavera Michigan News Source ha dichiarato che la società cinese che vuole investire nel litio dei Talebani fosse in realtà il brand con cui in Afghanistan si è presentata, per compiere un’azione altrimenti “impresentabile”, un’altra e ben più nota società, il colosso Gotion. Per la precisione, Gotion è la stessa società che sotto esame proprio in Michigan per la sua proposta di costruire una gigantesca fabbrica di batterie per veicoli elettrici da 2,36 miliardi di dollari, su cui la comunità locale si divide e che Gotion, che nega ogni legame con Kabul, vuole costruire entro il 2031.

La Cina non inventa nulla…

In nome della connettività, dei mercati di frontiera e della corsa globale alle materie prime la Cina sdoganerà i Talebani? Pecunia non olet, si suol dire. La strategia di Pechino è che nei confronti dei Talebani “può esserci un meccanismo misurato di coinvolgimento con una costruzione incrementale di legami strumentali”, nota il Foreign Policy Research Institute. Non è una novità, per gli studenti coranici: “durante il loro precedente governo, i Talebani erano disposti a inviare una delegazione a Houston nel 1998 per negoziare un accordo petrolifero con UNOCAL . Più recentemente, i Talebani si sono impegnati nel settore delle costruzioni in Qatar per la Coppa del Mondo , nonostante la loro apparente ripugnanza per lo sport”, collaborando con ditte di Paesi occidentali tramite il loro braccio economico.

La Cina, in sostanza, applica una legge cinica ma che i Paesi occidentali hanno, a lungo, approvato: di fronte al business, troppo spesso, diritti umani, democrazia e altri temi vengono meno. Una legge di brutale realismo che, a ben guardare, ha beneficiato la stessa ascesa mondiale della Repubblica Popolare a potenza economica. Ma la stretta di mano tra Xi e l’ambasciatore dei Talebani deve allarmare comunque: è il segno della perdita di controllo sull’ordinatore di una regione strategica da parte di chi, nel mondo, se ne è voluto troppo spesso fare “demiurgo”. E dunque di un consolidamento di un ordine mondiale alternativo a quello guidato da Usa e Occidente. I quali devono svegliarsi se intendono porre un freno alla strisciante, e graduale, ascesa del campo dei rivali guidati dalla Cina. Non più decisi a giudicare politicamente e moralmente un attore solo sulla base del giudizio che ne danno le nostre canellerie.