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Dopo l’Ucraina, Taiwan: l’Italia spinta nel fronte dell’Indo-Pacifico?

Dopo l’Ucraina, Taiwan: l’Italia spinta nel fronte dell’Indo-Pacifico?

Perché questo articolo potrebbe interessarti? L’Italia è pronta a mandare un “messaggio” alla Cina su richiesta degli Stati Uniti. Washington, preoccupata per le mosse di Pechino nell’indo-pacifico – in particolare a Taiwan – ha chiesto ai suoi partner di reagire compatti. Roma manderà quindi le sue navi da guerra nel Pacifico. Con il rischio di finire invischiata in un nuovo fronte geopolitico.

L’Italia potrebbe presto fare i conti con un nuovo fronte geopolitico, che andrebbe ad aggiungersi al caldissimo dossier Ucraina. I riflettori sono puntati sull’Asia, dove tiene banco la questione Taiwan.

Gli Stati Uniti sono sempre più preoccupati per il futuro dell’isola, ma soprattutto temono che Pechino possa prendere il controllo miliare della regione. È per questo che Washington ha chiesto ai suoi partner, compresi quelli europei, di contribuire alla causa nel tentativo di mettere pressione sul Dragone. In che modo? Inviando dall’altra parte del mondo le loro navi da guerra.

Per quanto riguarda l’Europa, lo hanno già fatto Paesi Bassi, Regno Unito, Francia e Germania. Nei prossimi mesi dovrebbe aggiungersi alla lista anche l’Italia pronta, da quanto emerso, a mettere a disposizione una squadra portaerei. La formazione dovrebbe comprendere la portaerei Cavour e il suo naviglio di scorta: un cacciatorpediniere, una fregata e un rifornitore di squadra.

Le navi da guerra dell’Italia nel Pacifico

Lo scorso marzo, il sottocapo di Stato Maggiore della Marina italiana, ammiraglio Giuseppe Berutti Bergotto, era intervenuto ad un convegno all’Università Cattolica di Milano lanciando un chiaro messaggio. Lo stesso che Repubblica ha rilanciato nei giorni scorsi.

Quale? Tra la fine del 2023 e l’inizio del 2024, la Marina italiana invierà una squadra portaerei nell’Indo-Pacifico per operare con gli alleati. Non ci sono ancora ufficialità ma l’impegno sembra concreto e la strada tracciata.

Anche perché all’inizio di aprile Roma ha inviato nel Pacifico il pattugliatore d’altura Morosini. Il suo compito: una crociera addestrativa di 4-5 mesi. Il prossimo passo consisterà nell’impiego della Cavour, che dovrebbe navigare fino al Giappone.

Roma, Taiwan e il fronte asiatico

Senza un dibattito parlamentare, senza alcuna spiegazione, l’Italia potrebbe insomma ritrovarsi calata nel fronte asiatico. Nel silenzio generale, a circa 9.000 chilometri da casa, le navi da guerra di Roma agirebbero nell’Indo-pacifico per lanciare messaggi a Pechino.

L’obiettivo di questa e altre missioni di pattugliamento, infatti, consisterebbe nel prevenire un’Ucraina bis. Nei giorni scorsi, il capo di Stato Maggiore della Difesa italiana, Giuseppe Cavo Dragone, ha incontrato a Washington il suo omologo americano, Mark Milley. I due avrebbero parlato del conflitto ucraino ma anche di Taiwan.

Milley avrebbe spiegato a Dragone di essere preoccupato delle manovre cinesi nei dintorni dell’isola. E, per evitare che il presidente cinese Xi Jinping possa emulare Vladimir Putin ordinando un’invasione, ecco che gli Usa avrebbero chiesto aiuto a tutti gli alleati. Al fine, va da sé, di piantare bandierine nella regione, non tanto per provocare una guerra contro la Cina, quanto per prevenirla. Dimostrando al Dragone che gli Usa non sono soli.

Nel frattempo, gli Stati Uniti continuano a sollecitare l’Italia nel tentativo di non rinnovare l’accordo con la Cina relativo alla Nuova Via della Seta. Con segnali inviati al ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, ma anche con la pubblicazione di “indiscrezioni di rottura”. L’ultima, pubblicata da Bloomberg, riguarda un presunto rafforzamento della cooperazione italo-taiwanese sui semiconduttori, in cambio dello smarcamento di Roma dalla Via della Seta di Pechino.

La Nato e la difesa collettiva

Nessuno si augura l’apertura di nuovo fronte militare dopo la guerra esplosa in Ucraina. Per il momento si tratta di un (pericoloso) gioco di pressioni. Certo è che le conseguenze della questione taiwanese, nel caso in cui dovesse prendere forma un conflitto, sarebbero ben peggiori rispetto a quelle viste nella vicenda ucraina. E per una ragione.

Gli Stati Uniti si sono limitati ad assistere Kiev dall’esterno, in maniera indiretta, senza alcuna intenzione di essere coinvolti in prima persona. A Taiwan, con ogni probabilità, gli Usa sarebbero invece chiamati a scendere in campo (o in mare) per un testa a testa militare con la Cina. A quel punto, poi, tutto dipenderebbe dal contesto specifico.

Considerando che Washington è un membro della Nato, vale la pena leggere il regolamento dell’Alleanza Atlantica. Che, ricordiamolo, può intervenire militarmente in caso di legittima difesa collettiva o su mandato dell’Onu. Ma anche ovunque i propri interessi essenziali siano chiamati in causa.

Detto altrimenti, a fronte di un casus belli, di un incidente o di una possibile provocazione off limits innescata dalla Cina ai danni degli Usa, la Nato – Italia compresa – potrebbe reagire collettivamente, entrando in guerra in difesa del Paese attaccato. Anche in Asia, e cioè al di fuori della sua tradizionale zona di competenza.