Home Politics Canfora, prendi appunti: gli insulti politici da sinistra. Quelli belli

Canfora, prendi appunti: gli insulti politici da sinistra. Quelli belli

Canfora, prendi appunti: gli insulti politici da sinistra. Quelli belli

Perché leggere questo articolo? Odio di Canfora contro Meloni. Se proprio vuole insultare la premier, il professore avrebbe un vasto archivio di insulti da sinistra.

Insultare è un’arte. Così, almeno, la pensava Artur Schopenhauer, al punto da dedicare all’offesa un saggio. “Benché di solito lo si associ alla rozzezza e alla collericità, saper lanciare all’indirizzo altrui l’ingiuria, l’invettiva o l’improperio adatti, scientificamente studiati, implica infatti una vera e propria arte“. Questo passaggio del filosofo autore de “Il mondo come volontà e rappresentazione” deve essere sfuggito al professore Luciano Canfora. Senza entrare nel merito, Canfora è liberissimo di insultare Meloni, che a sua volta è libera di querelarlo. Ma darle della “neofascista” è davvero poco originale. Al contrario di una serie di insulti – quelli belli – che sono volati in parlamento e sui social dai banchi della sinistra.

Gli insulti di sinistra, quelli belli

In principio fu Romano Prodi. In uno dei celebri confronti tv – ah, quanto ci mancano – del 2006 apostrofò Silvio Berlusconi, parafrasando una celebre battuta del premio Nobel irlandese George Bernard Shaw: “Berlusconi si attacca alle cifre come gli ubriachi si attaccano ai lampioni”. Insulto che garantì a Prodi un posto nella top ten dei più celebri insulti politici stilata dal giornale inglese Times.

Da un professore alla questione del professore. Conte – vedete voi se considerarlo di sinistra o meno, lui oggigiorno si agghinda così e chi siamo noi per negarglielo – rimarcò in maniera insolitamente divertente il distinguo con Renzi. Alla domande del giornalista: “Renzi dice che lei è un collega che non è stato votato”, l’avvocato degli italiani rispose: “Ah, è professore? Non lo sapevo“. Con tanto di sorriso alla Cary Grant. Colpito e affondato.

I migliori insulti da sinistra: da Togliatti a De Luca

Negli anni la sinistra ci ha abituato a qualcosa di meglio che il solito disco rotto del fascismo come invettiva. Basti solo pensare alla recente campagna elettorale del 2022. Quanti insulti: da Brunetta nano. I festini di Arcore evocati a proposito di Carfagna e GelminiLetta e Calenda descritti come due adolescenti in amore. Ronzulli colf. 

Gli insulti in politica ci sono sempre stati. Ma un tempo almeno erano temperati dall’ironia e dalla cultura. Quando Valdo Magnani e Aldo Cucchi lasciarono il Pci dopo averlo accusato di essere un partito stalinista, Palmiro Togliatti li definì “pidocchi nella criniera di un nobile cavallo da corsa”. Aldo Moro descriveva Paolo Emilio Taviani in “operoso silenzio”. Fortebraccio, corsivista dell’Unità, bersagliava i socialdemocratici, “la fronte inutilmente spaziosa di Tanassi“; “arrivò una berlina, si aprì lo sportello, non scese nessuno: era Cariglia“. “La lite delle comari” tra Formica Andreatta fu un pezzo di teatro colto.

Ai politici italiani gli insulti piacciono tanto. Anche a quelli di sinistra, proverbialmente più compiti ed elitari. Ecco, non proprio tutti rispondono a questo identikit. Si pensi al Governatorissimo, Vincenzo De Luca. Lo sceriffo di Salerno non è mai stato l’emblema della signorilità. Ricordiamo quello al “trio di pippe” pentastellate: “Nei 5 Stelle è emerso un trio: Di Battista, Di Maio e Fico. Luigino il chierichetto, Fico il moscio, e l’emergente Dibba, il gallo cedrone. E l’Italia dovrebbe essere diretta da questi tre giovanotti? Sono tre mezze pippe, falsi come giuda, miracolati. Questi tre si odiano, si baciano, ma sono falsi come Giuda”. Di recente, si è fatto notare per un alterco a distanza con Meloni, definita: “Stracciarola”. E per una scarica di invettive contro il suo Pd: “Partito di imbecilli, cafoni e… pinguini“.

Tutti (o quasi) gli insulti di Grillo

Un capitolo ad hoc merita Beppe Grillo. Il leader del M5S, padre del “vaffa day” (e il nome dice tutto), è sempre stato un artista degli insulti. Li ha anche subiti. Tempo fa Berlusconi disse: “Il comico Grillo non fa più ridere, fa solo paura. È una persona violenta e anche pericolosa. In un delirio di onnipotenza, si definisce oltre Hitler”. Ricordare tutti gli insulti di Grillo è impresa ardua. Alla vigilia del referendum costituzionale del 4 dicembre ha definito “serial killer” Renzi e coloro che vogliono il Sì. Ha quindi paragonato il premier a una “scrofa ferita”. Una volta lo aveva ribattezzato “l’ebetino di Firenze”.

Questi gli epiteti più gentili di Grillo agli avversari: “Aledanno” (a Gianni Alemanno); “Psiconano”, “uomo di 74 anni senza prostata” (a Berlusconi); “Gargamella”, “zombie”; “fallito” (a Pier Luigi bersani); “Problemi di convivenza con il vero amore non ne ha probabilmente mai avuti” (a Rosy Bindi); “A furia di frequentare salme si diventa salma. Tanto più che lui ha già quella faccia lì” (a Piero Fassino); “Forminchioni” (a Roberto Formigoni); “Rigor Montis”, “mendicante” (a Mario Monti); “salma” (a Giorgio Napolitano); “Alzheimer” (a Romano Prodi); “Assassino”, “Cancronesi” (a Umberto Veronesi).

Meloni, la più insultata

Se proprio proprio vuole insultare Meloni, il professor Canfora ha a disposizione un ricco archivio. Da quando si è insediata a Palazzo Chigi, la premier è diventata di gran lunga la politica che ha ricevuto più insulti. Alcuni anche carini, bisogna ammetterlo. Se volgiamo restare in tema fascismo, l’appellativo “Ducetta” che le ha affibbiato Dagospia è irriverente. Francesco Merlo va più sul pesante, definendola “Reginetta di Coattonia“, “Peronista scalza” o “Ruggito della sora Angelina“. Poi però ci sono i colleghi di Canfora, che tornano ad andarci pesante con gli insulti. Giovanni Gozzini, storico dell’Università di Siena, in un salendo di epiteti offensivi è partito con “ortolana e pesciaiola”, scusandosi anche con la categoria di lavoratori, per arrivare a “rana dalla bocca larga, scrofa” e poi chiudere con “peracottara”. Meloni deve essere evidentemente invisa alla categoria degli storici. Per una volta hanno forse ragioni i filosofi come Schopenhauer, quando affermano che “l’uomo è l’animale che ferisce i suoi simili senza ucciderli“.