Home Politics Mario Calabresi: “I giornali non vendono perché inseguono la rete, non la qualità”

Mario Calabresi: “I giornali non vendono perché inseguono la rete, non la qualità”

Mario Calabresi: "I giornali non vendono perchè inseguono rete e non qualità"

Perché leggere questo articolo? Mario Calabresi, Ceo di Chora Media, analizza con True-news.it la crisi dei giornali in Italia. I cartacei non vendono, ma l’informazione non è finita. “Il problema è che in Italia si insegue la rete e non la qualità. Servono coraggio e contenuti”.

I giornali non vendono, ma non è vero che gli italiani non leggono. In media, nel 2022 le edicole italiane hanno venduto ogni giorno 1 milione e 540 quotidiani: il 9% in meno del 2021. E un’inezia rispetto ai 4 milioni che vendevano dieci anni fa. Eppure – sempre lo stesso anno – le librerie sono aumentate e i fumetti hanno venduto bene. Radio e podcast, restando in ambito informazione, stanno conoscendo un autentico boom. Cosa si cela, dunque, dietro la crisi dei giornali? True-news.it lo ha chiesto a Mario Calabresi, Ceo di Chora Media e già direttore de La Stampa e Repubblica.

Direttore Calabresi, qual è la situazione dell’informazione in Italia?

Dobbiamo distinguere il modello di sostenibilità economica dai lettori. Le testate giornalistiche, se mettiamo insieme online e carta, non hanno mai avuto così tanti lettori. Molti di loro, però, sono lettori meno fidelizzati rispetto ai tempi in cui le persone andavano in massa in edicola. E, soprattutto, tantissimi non pagano.

Come mai?

Perché leggono solo ciò che è gratuito. Si fermano ai titoli sui social o guardano esclusivamente i video sulle homepage dei quotidiani. C’è stato un errore storico a monte: quando hanno aperto i siti, i giornali hanno pensato che i portali potessero essere completamente gratuiti. Non si è dato valore al giornalismo online. Allo stesso modo si è pensato che la rete fosse il luogo dove mettere l’informazione leggera: le gallery, il pettegolezzo o la cronaca. La carta invece ha tenuto l’esclusiva dell’approfondimento. Quando il numero dei lettori del cartaceo è calato, il modello è entrato in crisi, non avendo la possibilità di fare investimenti sulla qualità.

E’ così in tutto il mondo?

Questa spirale informativa in Italia è più marcata che altrove. Se guardiamo a esempi – non solo americani, come il New York Times – gli esempi virtuosi non mancano. I principali quotidiani europei, come il Guardian o El Pais, fino a poco tempo hanno vissuto una crisi nerissima. Eppure sono riusciti a dar vita a un cambio radicale di impostazione. Si sono trasformati online, pure rimanendo ottimi giornali.

Come hanno fatto?

Partono dal contenuto, indipendentemente dalla piattaforma. Qualche giorno fa ero a pranzo col responsabile Cultura de El Pais. Mi ha detto che fanno 6-8 articoli lunghi di cultura ogni giorno che vanno online. “In redazione pensiamo a un bel contenuto, poi può andare dappertutto: su carta, online e app o diventare un podcast”. I grandi quotidiani tedeschi, spagnoli e britannici non hanno pensato che il giornalismo dovesse cambiare a seconda dei supporti. Pensano solo al giornalismo: che significa qualità e progettualità. Una volta che si ha questo, il contenuto si può declinare su tutte le piattaforme.

Come si esce dalla spirale?

Io non voglio mettermi in alcun modo a dare lezioni ai giornali. Al massimo mi sento di dare un piccolo suggerimento. Dovrebbero correre meno sui social, a inseguire la rete. Fai la tua strada, racconta le tue storie dando la tua interpretazione del mondo. Certo, in Italia spesso è un atto di coraggio: troppo spesso si mette la croce sulle spalle dei giornalisti. Bisogna ammettere che molto spesso anche gli editori non hanno trovato un sistema per far funzionare le cose.

Il vostro progetto di Chora Media, invece, sembra aver trovato la chiave?

Su Chora abbiamo investito tanto, provando a smontare una serie di stereotipi. Con risultati a tratti sorprendenti. Basti pensare all’idea – radicatissima in alcune redazioni – che ai giovano non interessino gli esteri. Ebbene noi abbiamo Cecilia Sala che ogni girono si fa ascoltare da oltre 100mila persone. Se paragonato anche solo a quanti leggono gli articoli di un giornale, è tantissimo. Anche prodotti di assoluta qualità che ritenevano di nicchia, come Altri Orienti di Simone Pieranni stanno andando benissimo. La speranza iniziale era che arrivasse a 5mila persone, come la tiratura di giornali opinione. Invece fa cinque volte tanti ascoltatori.