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Anemia falciforme, gli esperti a confronto

Anemia falciforme, gli esperti a confronto

È una delle malattie genetiche più diffuse al mondo: 13 milioni di persone affette, di cui circa 40 mila in Europa con un’incidenza tra I 300-400 mila nuovi nati ogni anno. Nel 2006 è stata riconosciuta dall’Organizzazione mondiale della sanità come un problema globale di salute pubblica e le stime internazionali prevedono un aumento al 2050 di circa il 30%. L’anemia falciforme (SCD) è una malattia rara causata da una mutazione genetica ereditaria dell’emoglobina che oltre al danno ai globuli rossi, secondo studi recenti coinvolge anche le altre cellule del sangue, come globuli bianchi e piastrine, e le cellule che rivestono le pareti interne dei vasi sanguigni. Innescando, a causa del continuo stato infiammatorio, un processo di adesione tra le cellule che porta a vasculopatia e vaso-occlusione.

Anemia falciforme, i casi in Italia

In Italia? Secondo gli specialisti, i dati attualmente disponibili e pubblicati che parlano di circa 2.000-3.000 persone affette (di cui il 44% di origine caucasica) rappresentano solo la punta dell’iceberg. Esiste un grande sommerso nella popolazione rappresentato dai portatori sani del difetto genetico oltre ad un elevato numero di soggetti affetti dalla patologia, tra i nuovi migranti provenienti di Paesi ad altra prevalenza.

Maria Domenica Cappellini a The True Show

Le crisi falcemiche? “Hanno una patogenesi molto complessa in cui può prevalere la componente vaso-occlusiva o la componente emolitica” spiega a True Pharma Maria Domenica Cappellini, Professore Ordinario di Medicina Interna presso l’Università degli Studi di Milano. Ospite di “The True Show”, in onda su Telelombardia giovedì 13 maggio alle ore 11, per una puntata dedicata a sensibilizzare il pubblico sul tema, la docente spiega come “le crisi sono imprevedibili anche se spesso si riconoscono fattori scatenanti come esposizione al freddo o febbre, che determinano la gelificazione e la precipitazione della HbS all’interno degli eritrociti causando la deformazione a falce”.

I 20 anni della Rete regionale malattie rare

Cosa si sta facendo in Lombardia? La Regione affronta la sfida delle malattie rare da 20 anni esatti: a partire dal 2001 ha provveduto ad individuare i Presidi della Rete per le malattie rare, passati dall’essere 13 fino ai 59 attuali. Inoltre è stata costituita la Rete regionale le cui attività sono in capo alla Direzione Generale (DG) Welfare. Con istituito al suo interno un Gruppo di lavoro composto da rappresentanti del Centro di Coordinamento, di tutti i Presidi della Rete, delle ATS e delle associazioni dei pazienti (Federazione Italiana Malattie Rare FIRM UNIAMO, e Federazione Lombarda Malattie Rare FLMR).

Oltre ai Presidi, alla Rete regionale afferiscono anche le 8 Agenzie di Tutela della Salute (ATS), che rappresentano il punto di contatto tra gli specialisti e la medicina territoriale. “Tra i progetti di maggiore rilievo – spiega a True Pharma Erica Daina, Referente del Centro di Coordinamento della Rete regionale malattie rare della Lombardia e Head Laboratory del Dipartimento Ricerca Malattie rare dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS – ci sono la gestione del Registro regionale per le malattie rare, la redazione di Percorsi Diagnostici, Terapeutici e Assistenziali (PDTA) per un crescente numero di malattie rare, il potenziamento della Rete sul territorio e la condivisione dei criteri per gli accessi ai trattamenti”.

I percorsi assistenziali

Quali sono i compiti di un Presidio per le Anemie ereditarie –gruppo del quale fa parte l’Anemia a cellule falciformi? “Deve garantire al paziente – dice Daina – un completo percorso assistenziale, dal momento del sospetto diagnostico, fino alla eventuale conferma e alla impostazione dei controlli periodici e delle opportune terapie”. Un’organizzazione che permette anche l’evoluzione della conoscenza e delle terapie. “È importante ricordare come la definizione della Rete malattie rare avvenga mediante un processo dinamico, basato sul possesso e la verifica di una serie di requisiti: nel tempo i Presidi possono presentare la candidatura per nuove malattie, così come è facoltà della DG Welfare rivedere le attribuzioni, anche revocandole” dice la dottoressa dell’Istituto Mario Negri.

“Approccio multidisciplinare”

Una struttura in rete che permette la presa in carico rapida ed efficace. “Anche il personale infermieristico svolge un importante ruolo nella presa in carico di questi pazienti” dice la professoressa Maria Domenica Cappellini. Sottolineando però come sia fondamentale “l’approccio multidisciplinare”. “È essenziale – spiega Cappellini a True Pharma – perché si tratta di una malattia che può coinvolgere diversi organi oltre agli aspetti ematologici, con manifestazioni che possono portare ad insufficienza d’organo come l’insufficienza epatica, insufficienza respiratoria, complicanze durante la gravidanza”. Fondamentale diventa quindi “la presa in carico del paziente con un regolare follow up presso un centro esperto di riferimento in cui sia presente un team multidisciplinare che condivida le opzioni terapeutiche e gli interventi necessari in caso di eventi acuti” ma “è importante anche la presenza di una figura che possa supportare i pazienti dal punto di vista psicologico”.

Le terapie

Quali terapie esistono oggi per l’anemia falciforme? “Grazie alla migliore comprensione dei meccanismi fisiopatologici delle crisi falcemiche – chiude Cappellini – oggi sono allo studio numerose nuove strategie terapeutiche che possono essere sintetizzate in tre diverse categorie”. La prima? “Molecole che agiscono sulla deidratazione cellulare e sul sickling (trasportatori di membrana, induttori di HbF agenti anti sickling)”. Secondo? “Molecole che agiscono sulla vasculopatia e sull’adesione all’endotelio” e infine “molecole antiossidanti. Alcune sono già clinica come il Crizalizumab che si è dimostrato efficace nel ridurre il numero di crisi occlusive legandosi alla P-selectina, una proteina di adesione cellulare” mentre “un’altra molecola è il Voxelotor che inibisce la polimerizzazione della HbS”.

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