Home Politics Geopolitics Goodbye, Putin? Le aziende italiane alla fine sono rimaste in Russia…

Goodbye, Putin? Le aziende italiane alla fine sono rimaste in Russia…

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Perché questo articolo potrebbe interessarti? Lo scoppio della guerra in Ucraina avrebbe dovuto isolare la Russia dall’Occidente. Le sanzioni, sempre più pesanti, e lo stop alle esportazioni di gas e petrolio da parte dell’Ue hanno colpito Mosca. Senza però far crollare Vladimir Putin. Nel frattempo, un report ha evidenziato come appena meno del 9% delle compagnie occidentali si sia ritirata dal mercato russo. La maggior parte? Aziende tedesche. Ma spiccano anche alcuni nomi italiani.

Da Ariston a Benetton, da Calzedonia a De Cecco passando per Calzedonia e Gruppo Fenzi. Queste sono solo alcune delle realtà italiane che stanno continuando a fare affari in Russia. Prima di scendere nei dettagli vale la pena analizzare il contesto generale.

Secondo una ricerca dell’Università di San Gallen e dell’Imd, in Svizzera, la stragrande maggioranza delle aziende con sede nell’Unione Europea e nel G7 ha scelto di proseguire con i loro business a Mosca e dintorni.

Al momento dello scoppio del conflitto, in Russia erano attive un totale di 2.405 filiali di proprietà di 1.404 aziende Ue e G7. Ebbene, meno del 9% di loro avrebbe ritirato almeno una società dal mercato russo.

Il mercato russo e le aziende italiane

L’Università di Yale ha stilato una lista, aggiornata, che riassume, Paese per Paese, quali aziende hanno scelto di non interrompere i rapporti commerciali con la Russia. Soffermandoci sull’Italia, troviamo 12 soggetti che, in modo tra loro differente, “continuano a fare affari in Russia”.

Ariston opera e assume attivamente. Benetton porta avanti le sue operazioni. Calzedonia e Gruppo Cremonini continuano le vendite, così come De Cecco. Presenti anche Boggi, Diesel e Gruppo Fenzi. Così come Buzzi Unicem, che continua a gestire gli impianti, Fondatale (“opera e investe in Russia”), Perfetti Van Melle e Unicredit.

Aziende ridimensionate e attività sospese

Troviamo poi un gruppo di aziende che, pur continuando affari sostanziali, ha rinviato futuri investimenti. Barilla ha limitato la produzione russa a pasta e pane e sospeso tutti i nuovi investimenti e le attività pubblicitarie. Campari continua le vendite ma ha sospeso gli investimenti.

Investimenti congelati anche per Geox, Giorgio Armani e Delonghi (anche le spedizioni). Finanziamenti ridotti per Intesa Sanpaolo, attività commerciali sospese per Maire Tecnimonet. Infine, stop alla pubblicità e ai nuovi investimenti per Gruppo Menarini, che continua però a operare nell’impianto in Russia. Investimenti bloccati anche per Saipem.

Tra le aziende italiane che hanno ridimensionato la loro presenza spiccano Eni, Ferrero, Indesit, Iveco, Luxottica, Pirelli e Valentino. Hanno invece limitato temporaneamente la maggior parte o tutte le operazioni Diadora, Ferragamo, Ferrari, Leonardo, Moncler, Prada, YOOX e Gruppo Zegna.

Assicurazioni Generali ed Enel sono invece uscite del tutto dal mercato russo.

Fuga mancata

Tornando alla ricerca svizzera, intitolata Less Than Nine Percent of Western Firms Have Divested from Russia, emergono dettagli interessanti. Intanto, le aziende americane sono più disposte a lasciare il mercato russo rispetto alle aziende occidentali.

Meno del 18% delle filiali statunitensi operanti in Russia sono state interamente dismesse da quando è scoppiata la guerra, rispetto al 15% delle società giapponesi e solo all’8,3% delle società dell’Ue. E questo conferma come l’Europa debba pagare un prezzo economico più alto rispetto agli Stati Uniti per recidere ogni legame commerciale con Mosca.

In ogni caso, tra le aziende rimaste il 19,5% sono tedesche, il 12,4% di proprietà americana e il 7% multinazionali giapponesi. “Questi risultati mettono in discussione la volontà delle aziende occidentali di separarsi dalle economie che i loro governi ora considerano essere rivali geopolitici”, ha fatto notare il paper. Intanto l’esodo di massa dalla Russia non sembrerebbe ancora essere avvenuto.

Scarica lo studio sulle aziende occidentali che continuano a fare affari in Russia