Era una favola. Anzi, una leggenda, visto il misto di finzione e realtà che la contraddistingue. Parliamo di quella che è stata, per il mondo del lavoro in Italia, la storia della settimana: la leggendaria vicenda di Emiliano Zappalà raccontata dalla Stampa in un articolo firmato da Antonella Boralevi. E ci dobbiamo fermare subito perché in realtà il protagonista si chiama Emanuele, non Emiliano – ma tranquilli, è solo una delle tante stranezze del pezzo.

Ebbene, se oggi andate sul sito della Stampa vedrete che il titolo del pezzo è contrassegnato da un asterisco, che indica una serie di incredibili correzioni al suo contenuto.
La verità, per favore sui rider
Parole grosse, per un lavoro come il rider. Non che le persone che fanno questo lavoro non siano degne, ovviamente, ma sarebbe miope – per non dire altro – limitarsi a classificare quello del rider (o gli shopper) come un mestiere o un “lavoretto” come un altro, senza sottolineare le condizioni di lavoro pessime, al limite dello sfruttamento, a cui sono sottoposte. Nessun diritto, nessuna garanzia, paghe da fame, il pericolo intrinseco del muoversi in città in mezzo al traffico (in bici o motorino), la spada di Damocle dell’algoritmo di Deliveroo e simili, che impone orari e mette fretta, specie in alcuni momenti della giornata o della settimana (pause pranzo, il sabato sera…).