Home Economy Meloni, come uscire dalla Via della Seta senza far infuriare il Dragone

Meloni, come uscire dalla Via della Seta senza far infuriare il Dragone

Meloni, come uscire dalla Via della Seta senza far infuriare il Dragone

Perché questo articolo potrebbe interessarti? La decisione di Giorgia Meloni è pressoché certa: l’Italia non rinnoverà l’accordo con la Cina relativo alla Belt and Road Initiative (Bri). L’esecutivo non intende tuttavia scatenare incidenti diplomatici con il Dragone. Anche perché il gigante asiatico è un partner economico fondamentale per molte aziende italiane. Che, al netto della decisione di Roma, continuano a fare affari con Pechino.

Era stata invitata ad effettuare una visita in Cina direttamente da Xi Jinping. Il presidente cinese aveva teso la mano a Giorgia Meloni lo scorso novembre, in occasione del G20 di Bali, intascando la disponibilità della premier italiana.

Nel frattempo, la macchina diplomatica di Pechino si era messa in moto nel tentativo di convincere l’Italia a non sacrificare la Via della Seta. Sembrava che qualcosa potesse muoversi. Che Roma ipotizzasse di non uscire dalla Belt and Road, come invece dovrebbe quasi sicuramente avvenire nel giro di qualche settimana.

La decisione di Meloni, che intanto ha rinviato il suo viaggio in Cina a data da destinarsi, è invece chiara: indietro non si torna. Sarà a questo proposito interessante capire come si svilupperanno i rapporti lungo l’asse Roma-Pechino.

Già, perché se il mondo della politica ha scelto di prendere le distanze dal Dragone, allo stesso tempo tante aziende strategiche italiane intendono rafforzare i loro business oltre la Muraglia. Da Leonardo a Pirelli, ecco i player italiani che continueranno a cooperare con il Dragone. Con o senza Via della Seta.

Le aziende italiane che guardano alla Cina

In generale, per un discreto numero di imprenditori, multinazionali e grandi aziende è impossibile operare nei mercati internazionali senza prendere in considerazione l’idea di fare affari con e in Cina. Questo vale anche per l’Italia, come ha sottolineato il report 2023 della Italy China Council Foundation (Iccf).

I dati contenuti nel documento parlano chiaro. Nel 2022, il valore dell’interscambio tra Italia e Cina ha toccato quota 73,9 miliardi di euro (+36,9% annuo), di cui 57,5 miliardi (+49%) importazioni dalla Cina in Italia e 16,4 miliardi (+0,5%) di esportazioni.

La Via della Seta, al netto delle criticità più volte enunciate, è stata un valido volano di crescita per svariati soggetti italiani. Quali? Ansaldo Energia, ad esempio, era stata incaricata di costruire una turbina in Cina, effettivamente entrata in funzione nel 2021.

In seguito, l’azienda avrebbe approfondito i legami con i committenti cinesi. Nei primi sei mesi del 2023, prendendo in esame il solo mercato cinese, la società italiana ha venduto forniture di componenti ad alta tecnologia per 3 macchine AE94.3A e 2 macchine 64.3A.

Passiamo quindi ad Intesa Sanpaolo, che grazie alla Bri era diventata la prima banca straniera a svolgere attività di gestione di patrimoni in Cina mediante la società Yi Tsai. Oggi il network creato quattro anni fa si è consolidato.

Con o senza Belt and Road

Proseguendo nell’elenco, citiamo il caso di StMicroelectronics. Lo scorso giugno, il gruppo con sede in Svizzera ma partecipato da Italia e Francia ha annunciato la creazione di una società comune con la cinese Sanan Optoelectronics. L’obiettivo? Produrre chip a risparmio energetico destinati al mercato dei pannelli fotovoltaici e delle auto elettriche.

Un’altra azienda italiana con partecipazione statale che guarda con attenzione ai legami con la Cina è Leonardo, che dagli anni ’80 ad oggi ha offerto un contributo rilevante nella modernizzazione dell’aeronautica e aviazione cinese. In che modo? Basta citare i suoi radar per il controllo del traffico aereo (una settantina) e gli elicotteri inviati all’ombra della Città Proibita (oltre 100).

Pirelli, che include al suo interno azionisti cinesi (Sinochem al 37% e Silk Road Fund al 9%), avrebbe ancora interesse ad approfondire la cooperazione con Pechino. Il golden power esercitato dal governo Meloni ha tuttavia congelato, al momento, una situazione dinamica.

Attenzione, infine, alle numerose aziende del settore moda. Non solo le grandi aziende, visto che l’Italia è il primo fornitore cinese di indumenti e accessori di abbigliamento, nonché secondo per quanto concerne le calzature.

La decisione di Meloni

Tutto questo ha spinto Meloni a conseguire una separazione soft dalla Cina. Dalle affinità culturali all’interdipendenza economica, nel corso dell’ultimo anno i funzionari del Dragone hanno attivato, invano, ogni leva per tentare di bloccare la retromarcia avviata dall’esecutivo italiano.

Allo stesso tempo, pur abbracciando l’atlantismo più puro, Roma ha lasciato intendere di voler continuare ad approfondire i rapporti economici e commerciali con il gigante asiatico.

Impresa complessa, quasi delicata, considerando che Meloni ha maturato due importanti decisioni. La prima riguarda la pressoché certa conferma di non rinnovare il Memorandum of Understanding relativo alla Belt and Road Initiative. La seconda coincide con la volontà di non visitare la Cina. Almeno per adesso.