Home Economy Manfredonia, Presidente Acli attacca: “Il 5 per mille resti al Terzo settore”

Manfredonia, Presidente Acli attacca: “Il 5 per mille resti al Terzo settore”

Manfredonia, Presidente Acli attacca: “Il 5 per mille resti al Terzo settore”

Il senatore Gianfranco Rufa (Lega) aveva presentato una proposta legge per estendere il 5 per mille all’assistenza del personale di Forze dell’Ordine e Forze armate, una misura criticata dalle realtà operanti nel Terzo settore. Dopo la proteste, i capigruppo della Lega hanno annunciato che La Lega presenterà un emendamento al testo per istituire il 3 per mille. E’ previsto fondo complessivo di 10 milioni, destinato esclusivamente alle Forze dell’ordine che viaggerà in maniera del tutto autonoma rispetto al 5 per mille.

Per capire le ragioni del dissenso sulla proposta di legge Rufa, True News ha rivolto alcune domande al presidente nazionale dell’Acli Emiliano Manfredonia.

Bloccato l’iter della proposta di legge Rufa

L’iter della legge è stato bloccato: è una buona notizia? 

«Sì, è stato bloccato l’iter e, nel frattempo, la Lega ha annunciato che chiederà un fondo ad hoc: si tratterebbe di un’ammissione di errore e di un’ennesima opzione che i cittadini possono esercitare nella loro dichiarazione. In ogni caso se, come pare, propongono un fondo separato ma simile, si rischia di aprire una modalità poco sensata. Le spese legate alle forze armate o altri comparti dello Stato devono far parte di una programmazione di bilancio. E non essere in balia delle scelte dei cittadini. Altrimenti la pianificazione della sanità, della difesa o di altri settori pubblici rischia di diventare a corrente alterna. Vorrei poi aggiungere che se sulla difesa si riducessero le assurde spese per armamenti e si proibissero gli ordigni nucleari, ci sarebbero risorse per tutti».

«Destinare il 5 per mille alle forze armate è un controsenso»

Perché la proposta di legge Rufa di fatto snaturava lo scopo sussidiario del 5 per mille, tagliando altre risorse al Terzo settore? 

«Il 5 per mille è uno strumento nato perché i cittadini potessero sostenere l’opera pubblica e sussidiaria degli enti di Terzo settore. La proposta di legge Rufa prevede che lo stesso fondo sia destinato anche alle Forze Armate ed è un controsenso. Perché, oltre a togliere risorse al Terzo settore, lo si mette in competizione con lo Stato. Aspetto questo molto grave, perché  Stato e Terzo settore dovrebbero avere ruoli diversi e complementari, non di competizione. Ne emerge un’idea di Repubblica frammentata e fai da te che urta con il disegno costituzionale».  

«Ennesimo schiaffo al Terzo settore»

 Se la legge fosse passata, quali sarebbero state le conseguenze per il terzo settore? Lei l’aveva definita “uno schiaffo”: perché? 

«Sì, sarebbe stato l’ennesimo schiaffo dopo il rinvio a quasi tre anni per i ristori; dopo l’introduzione dell’IVA obbligatoria perfino per le piccole associazioni che si occupano essenzialmente di organizzare i campi estivi degli oratori o semplici attività di autofinanziamento; dopo le modifiche fiscali alla Riforma del Terzo settore che il Forum ha concordato con il Governo; ma che ancora non vengono presentate; e dopo tutti gli adempimenti contenuti nella stessa Riforma. Sono pure arrivati ulteriori obblighi burocratici per l’uso di giochi tradizionali presenti nei circoli, come i biliardini.

«C’è una bassa considerazione per il mondo dell’associazionismo»

Per fortuna sembra che anche questi emendamenti saranno ritirati ma in ogni caso sono spia di una bassa considerazione per il mondo dell’associazionismo, l’ennesimo controsenso se pensiamo che queste attività ludiche sane vengono proposte come alternativa proprio a chi confonde il gioco con l’azzardo, una piaga che oggi impoverisce e butta sul lastrico migliaia di famiglie.

In tutto questo si inventano pure che le associazioni debbano mettersi a competere con l’esercito: ma che senso ha, se non quello di dividere di più il Paese?»

«Ancora frenate le modifiche alla fiscalità»

 Quali sono le modifiche alla fiscalità che ancora vengono frenate? 

«I miglioramenti dovrebbero riguardare diversi aspetti. Che oggi vedevano il quadro normativo non chiaro o peggiorato rispetto alla situazione attuale. Con il chiaro intento di ripristinare l’obiettivo di semplificazione che la riforma si era data. Una delle modifiche, ad esempio, riguarda la possibilità di non lavorare in perdita quando l’attività principale di un’associazione è di interesse generale per tutta la collettività (come ha ribadito anche la Corte Costituzionale), prevedendo quindi che ci sia un corrispettivo che possa coprire tutti i costi sostenuti e possa anche consentire un piccolo scostamento positivo per più anni.

«Gran parte del Terzo settore non vive di risorse pubbliche»

«Un’altra modifica necessaria è quella che prevede la  possibilità di non essere considerati enti commerciali se si rivolgono alcune attività solo ai soci della propria associazione. Sarebbe importante poi che andasse in porto la possibilità di autofinanziarsi alcune attività come quella di non dover presentare 3 bilanci diversi se si fanno 3 attività diverse. Vale la pena ricordare che gran parte del Terzo settore non vive di risorse pubbliche, o di particolari donazioni, ma semplicemente di autorganizzazione dei propri militanti e volontari, per questo motivo una visione che spinge a considerare tutti gli enti come se fossero imprese, per ogni minima attività svolta,  non sarebbe solo assurda, ma appesantirebbe e in alcuni casi scoraggerebbe tante esperienze che nelle comunità sono preziosissime».

Se è vero, come ha certificato l’Istat, che un terzo degli enti sono sotto i 5mila euro di bilancio e due terzi dichiarano entro i 30mila, com’è pensabile che un’associazione, al primo anno di vita, debba tenere una contabilità giornaliera anche se alla fine avrà un bilancio annuale di 1000 euro? E vogliamo parlare dell’IRAP che si troverebbe a pagare, che è più cara delle imprese».

«Si rischia di comprimere la libertà di associazione»

«Poi è vero che la riforma prevede il concorso dei centri servizi e delle reti per assistere i più piccoli, ma i fondi per le reti arriveranno, nella migliore delle ipotesi, tra 1 o 2 anni. Insomma, un conto è assistere e dare servizi e un conto è obbligare tutti ad avere un commercialista. Si rischia così di comprimere la libertà di associazione perché i cittadini, con tutte queste incombenze burocratiche, saranno spinti a iscriversi a grandi associazioni già strutturate piuttosto che mantenere o addirittura farne nascere una propria. 

La Riforma ha sicuramente il merito di aver acceso i riflettori e dà dignità al nostro mondo,  ma è il momento di coinvolgere il Terzo settore attivamente e non usarlo come uno spazzino, soprattutto nelle periferie dove lo Stato è quasi sempre assente».