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Ferrero, il retrogusto amaro del gigante italiano dei dolci

Ferrero, il retrogusto amaro del gigante italiano dei dolci

Perché leggere questo articolo? Ferrero e la sua Nutella, simboli di italianità nel mondo. Esempio di impresa familiare di successo e di rispetto dei propri lavoratori. Una narrazione immacolata. Ma basta scavare per scoprire un retrogusto amaro…

Il 20 aprile 1964 nasceva un’icona: la Nutella. In sessant’anni di storia, la crema spalmabile per antonomasia è diventata un emblema del Made in Italy, conquistando i palati di tutto il mondo. Un prodotto di culto, “mai di moda ma sempre alla moda, interclassista e intergenerazionale”, come scrive il giornalista Gigi Padovani nel suo libro Nutella. Un mito italiano. Proprio quel connubio perfetto di cioccolato e nocciola è stata la ricetta della dolce ascesa della Ferrero, azienda simbolo del capitalismo familiare italiano. Ad oggi la multinazionale di Alba è il terzo gruppo dolciario del mondo e Giovanni Ferrero è l’uomo più ricco d’Italia.

Quella della più grande fabbrica italiana di cioccolato e dolci è una storia di indubbio successo, grazie a una miscela di intuizione, talento produttivo e comunicazione strategica. L’azienda è riuscita infatti a consolidare nel tempo una narrazione che l’ha consacrata modello industriale nazionale. Il mito Ferrero è talmente ben costruito e radicato nell’immaginario collettivo, da diventare sinonimo di un sogno d’infanzia per tutti gli italiani. Forse anche per questo che a Ferrero sembrerebbe essere perdonato tutto. Anche laddove un retrogusto amaro c’è.

Il gigante di Alba: buono ma non buonissimo…

Nonostante il successo, le certificazioni di qualità, e le buone intenzioni sociali e ambientali che dichiara di perseguire, il “gigante buono” Ferrero non è immune da aspetti controversi e lati oscuri. A partire dalla Nutella stessa, al centro di molte polemiche nel corso del tempo. La sua vera ricetta rimane un mistero, ma di certo non è esattamente un modello di cibo sano vista la consistente percentuale di zucchero e olio di palma al suo interno. Se per l’uso di quest’ultimo ingrediente (ritenuto responsabile della progressiva scomparsa della foresta del Borneo e potenzialmente cancerogeno se raffinato a elevate temperature) è stata sorprendentemente risparmiata dalle critiche che hanno travolto l’intera industria dolciaria, non si può dire lo stesso per quelle sue politiche commerciali poco trasparenti che descrivevano l’amata crema di nocciole come un prodotto nutriente e salutare. Nel 2012, infatti, l’azienda italiana è stata multata per pubblicità ingannevole negli Stati Uniti, e obbligata a cambiare la sua strategia di marketing.

Dalla deforestazione allo sfruttamento, tutti i “lati oscuri” della Ferrero

Ogni anno nel mondo si producono 350mila tonnellate di Nutella, abbastanza da coprire una distanza pari quasi a due volte la circonferenza del pianeta. Un prodotto glocal dunque, la cui ingente domanda impone inevitabilmente una proporzionale necessità di forza lavoro e di materie prime. Ma secondo il report “What if?“ di Anti-Slavery International e Coalizione europea per la giustizia d’impresa, la filiera della storica azienda di Alba contribuirebbe al lavoro minorile, allo sfruttamento, all’impatto ambientale e alla deforestazione. Un’accusa, quest’ultima, lanciata nel 2015 anche dall’allora ministra francese dell’ecologia Ségolène Royal, che però era stata sommersa dalle critiche. Eppure questi risvolti negativi sono reali. Il cacao usato per produrre la Nutella proviene principalmente – come dichiarato sul prodotto stesso – da Costa d’Avorio e Ghana, in cui si registrano milioni di casi di lavoro minorile e lavoro forzato.

La maggior parte delle nocciole, invece, proviene dalla Turchia, dove Ferrero detiene un vero e proprio regime di monopolio sulla produzione, comprandone circa un terzo del totale e stabilendone i prezzi. Un matrimonio d’interesse quello suggellato tra l’azienda di Alba e i produttori turchi, per i quali il legame ultimamente si sta facendo sempre più soffocante. Tanto che su un muro di Aydindere, villaggio nell’entroterra, è comparsa una scritta: “Ferrero assassina di nocciole! Fuori dal nostro paese. Via le tue sporche mani dalle nostre nocciole”.

Ferrero, la sede in Lussemburgo e le opinioni dei lavoratori: “Una multinazionale come le altre”

Ferrero, l’impero italiano dei dolci da 14 miliardi di euro di fatturato, ha recentemente distribuito un maxipremio ai lavoratori. La generosità dell’azienda verso i suoi dipendenti è lodevole e va riconosciuta. Tuttavia, scavando dietro alla superficie di responsabilità sociale d’impresa si scopre una complessa rete finanziaria che sembra mirare a minimizzare gli oneri fiscali. Innanzitutto, Ferrero non è quotata in borsa e quindi non è tenuta a divulgare pubblicamente i suoi bilanci. Ricostruirne l’intricata struttura societaria risulta molto complesso. Ma, come aveva già raccontato www.true-news.it indagando si scopre che la società è… diversamente italiana. Di fatto, l’azienda di Alba fa capo a un gruppo del Lussemburgo, oltre a coinvolgere entità legali in paesi con regimi fiscali vantaggiosi come il Regno Unito e Montecarlo. In questo modo, Giovanni Ferrero riesce a massimizzare i profitti, difendendosi dai prelievi fiscali.

Non è tutto oro quel che luccica e i lavoratori stessi lo confermano. True-news.it ha visionato le recensioni dei dipendenti sui maggiori siti di ricerca occupazionale, riscontrando critiche comuni così riassumibili: “Ferrero è una multinazionale come le altre. In cui i lavoratori sono un numero e dove il sistema meritocratico viene a mancare a favore di legami di parentela e conoscenze”. Insomma, un mito (almeno in parte) da sfatare.