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Ex Ilva, bomba sociale alle porte: “L’indotto è al collasso”

Ex Ilva, bomba sociale alle porte: “L’indotto è al collasso”

Perché questo articolo potrebbe interessarti? In attesa di sapere i destino dell’ex Ilva di Taranto, l’indotto attorno lo stabilimento è già al collasso: “La situazione è disperata – ha dichiarato su TrueNews il segretario nazionale della Uil-Uilm, Rocco Palombella – anzi è molto più che disastrosa”. A confermarlo anche il presidente dell’Asgi, l’organizzazione delle aziende dell’indotto, Fabio Greco: “Vantiamo pure crediti da 71 milioni di Euro – ha detto sempre su TrueNews – non si potranno pagare gli stipendi”.

Se sull’ex Ilva di Taranto aleggiano dubbi e incertezze, sull’indotto che gravita attorno allo stabilimento pugliese insistono invece solo certezze. Ma si tratta di certezze tragiche: le 80 aziende che a vario titolo costituiscono la rete di attività più vicina all’Ilva, sono al collasso. In una nota inviata dall’Aigi, l’associazione che raggruppa le aziende dell’indotto tarantino, ai sindacati è stata riferita l’impossibilità di pagare stipendi e tredicesime. In poche parole, lo stabilimento appare sempre più in una fase di graduale spegnimento. Ma l’indotto risulta già oggi nell’impossibilità di continuare con le proprie attività. Con il rischio molto concreto di vedere almeno 4.500 lavoratori a casa o senza reddito già a Natale.

La lettera dell’Aigi

Raggiunto al telefono da TrueNews a proposito delle indiscrezioni sulle difficoltà dell’indotto, il segretario della Uilm, Rocco Palombella, ha subito messo le cose in chiaro: “Le aziende dell’indotto dell’ex Ilva non sono in affanno, sono al collasso – ha dichiarato – che è cosa ben diversa”. È stato lo stesso numero uno dei metalmeccanici della Uil a spiegare la situazione e a fare riferimento a una lettera inviata dall’Aigi nella giornata di mercoledì.

“Il contesto è drammatico – ha proseguito – la situazione è molto più che disastrosa. Il quadro che abbiamo davanti parla di aziende che non hanno più le condizioni adeguate per andare avanti”. Le lettera a cui ha fatto riferimento Rocco Palombella è di due pagine. Poche frasi, ma significative e sintetiche di quello che sta accadendo tra le aziende vicine all’ex Ilva.

“La presente – si legge nella prima parte della missiva inviata dall’Aigi ai sindacati – per denunciare lo stato di profonda crisi in cui versano le nostre imprese, con riferimento ai mancati pagamenti AdI”.

“Ad oggi – proseguono i vertici dell’Aigi – ci vediamo costretti, nostro malgrado, a comunicare alle SS.VV. l’impossibilità per le nostre imprese metalmeccaniche, di far fronte nel mese corrente, al pagamento degli oneri fiscali e previdenziali e, purtroppo, alla erogazione di stipendi e della tredicesima mensilità ai nostri collaboratori”.

Confermate quindi le indiscrezioni, già apparse sulla stampa locale nei giorni scorsi, secondo cui gli stipendi dei lavoratori sarebbero stati a serio rischio. Le preoccupazioni però non sono solo sul presente, ma sono anche proiettate al futuro: “Non intravediamo spiragli di programmazione – prosegue infatti la lettera – Al prossimo 31 dicembre non si registrano ordini, non c’è un programma lavorativo. Per questo ci ritroviamo nella drammatica condizione di non poter far fronte al pagamento degli stipendi e delle tredicesime oltre alle previste scadenze fiscali e finanziarie”.

Il credito da 71 milioni di Euro vantato dalle aziende dell’indotto dell’ex Ilva

Nella prima parte della lettera, i vertici dell’Aigi hanno fatto riferimento ai mancati emolumenti da parte dell’AdI. Ossia della società Acciaierie d’Italia, proprietaria dal 2018 dell’impianto dell’ex Ilva e formata da un socio privato, la multinazionale ArcelorMittal, e da un socio pubblico, Invitalia. Il primo ha la maggioranza con il 63% delle quote azionarie, il secondo invece è in minoranza con il 37%.

I rappresentanti dei due enti si incontreranno il 22 dicembre per discutere della ricapitalizzazione necessaria a proseguire con le attività e a pagare operai e fornitori. La fumata nera, è proprio il caso di dire, è però uno spettro molto più che probabile. ArcelorMittal ha già fatto sapere di non voler sborsare le somme previste e ha anzi parlato di crediti che vanta da parte dello Stato. Il governo dal canto suo ha convocato i sindacati per il 20 dicembre, non è chiaro però quale strategia verrà intrapresa da Palazzo Chigi e dal ministero delle attività produttive.

Ad attendere notizie sono principalmente quindi proprio le aziende dell’indotto. Per loro, come spiegato a TrueNews dal presidente dell’Aigi, Fabio Greco, il pagamento degli emolumenti costituirebbe una boccata d’ossigeno: “Noi ad oggi vantiamo un credito nei confronti di AdI di almeno 71 milioni di Euro – ha dichiarato ai nostri microfoni – ma in realtà questa è una stima approssimativa ed è aggiornata a ottobre. Occorre quindi aggiungere il mese di novembre e i lavori che stiamo effettuando a dicembre”.

Quella dei ritardi nei pagamenti da parte di AdI è una piaga non nuova per le aziende dell’indotto: “Siamo stanchi dei cronici ritardi negli emolumenti che ci spettano – ha proseguito Greco – in queste condizioni è sempre più difficile andare avanti. Lo sottolineiamo da tempo ma il problema non è mai stato risolto”.

Una bomba sociale all’orizzonte

I ritardi nei pagamenti rappresentano forse il problema più stringente ma non certo l’unico. Gli attori impegnati direttamente o indirettamente nel quadro dell’ex Ilva di Taranto appaiono spaesati perché non sanno cosa aspettarsi. Non sanno cioè se ci sarà una nuova ricapitalizzazione, se sarà possibile proseguire almeno per il prossimo anno, se il governo proverà a scegliere un nuovo partner privato.

Ogni giorno che passa è prezioso. L’impianto, senza investimenti sulla sicurezza e sulla decarbonizzazione, non potrà andare avanti. L’indotto già oggi potrebbe assistere alla chiusura di diverse aziende che risentono di mancati pagamenti e di mancata programmazione industriale. Questioni stringenti dunque, ben quantificate dai numeri forniti dallo stesso presidente dell’Aigi: “Parlare dell’indotto dell’ex Ilva di Taranto – sostiene Fabio Greco – vuol dire far riferimento ad 80 aziende per complessivi 4.500 lavoratori impegnati al loro interno. Il fatturato annuo generato è di 220 milioni di Euro”.

Si comprende quindi la portata di un eventuale crollo dell’indotto. Lo spettro è quello di una vera e propria bomba sociale nel cuore del sud Italia, in grado di destabilizzare socialmente un quadro già oggi in grande affanno.