Home Economy Autostrade allo Stato: chi ha fatto l’affare? I fondi esteri pazzi per il Milan. Varie & Eventuali

Autostrade allo Stato: chi ha fatto l’affare? I fondi esteri pazzi per il Milan. Varie & Eventuali

Autostrade allo Stato: chi ha fatto l’affare? I fondi esteri pazzi per il Milan. Varie & Eventuali

Autostrade per l’Italia torna allo Stato: chi ha fatto il vero affare?

Sarà un vero affare? Sta di fatto che la gallina dalle uova d’oro dei Benetton, dopo il disastro del ponte Morandi passa allo Stato, a Cassa Depositi e Prestiti. Un passaggio formale – scrive Il Sole 24 Ore – che sancisce la chiusura di un capitolo apertosi il 14 agosto del 2018 con la tragedia del Ponte Morandi. E che dopo 22 anni riporta in mano pubblica la vecchia Autostrade, peraltro a valori simili a quelli a cui era stata privatizzata. Atlantia, la holding infrastrutturale che fa capo alla famiglia Benetton, ha infatti comunicato che “è stato perfezionato il closing dell’operazione di cessione della partecipazione detenuta in Autostrade per l’Italia (pari all’88,06% del capitale e dei diritti di voto) a favore del Consorzio formato da Cdp Equity (51%), Blackstone Infrastructure Partners (24,5%) e Macquarie Asset Management (24,5%). La cessione della partecipazione è avvenuta a un controvalore di 8.198,8 milioni di euro inclusa la ticking fee e al netto di minori altri aggiustamenti di prezzo previsti sempre dal contratto di cessione”. Autostrade per l’Italia, privatizzata nel 2000 con un incasso complessivo per lo Stato di circa 8 miliardi, torna dunque in mano pubblica. Ma sono pur sempre 8 miliardi di 22 anni fa. Lo fa con un piano strategico già scritto che vale da qui al 2038 14,5 miliardi di investimenti e 7 miliardi di interventi in manutenzione. Alla guida, come detto, ci saranno Cassa Depositi e Prestiti e i fondi Macquarie e Blackstone.

A Leonardo la cyber security dell’agenzia digital dell’Ue

Vacche grasse per la cyber security, dopo il recente bombardamento degli hacker. Toccherà a Leonardo monitorare e gestire la cyber security dei sistemi informatici corporate dell’agenzia digitale dell’Ue in prima linea nella gestione delle frontiere e della sicurezza interna dell’area Schengen. Il gruppo italiano, alla guida di un consorzio industriale con CRI Group (Computer Resources International Group, azienda europea specializzata in servizi e tecnologie IT parte del gruppo spagnolo internazionale VASS), si e’ infatti aggiudicata il lotto 2 del contratto quadro per la fornitura dei servizi di sicurezza ICT e IT corporate di eu-LISA, l’agenzia che, tra le altre cose, gestisce i sistemi informatici essenziali per l’implementazione delle politiche di asilo, gestione delle frontiere e migrazione dell’Unione Europea. L’accordo, della durata di 5 anni, prevede servizi di cyber security integrati erogati da specialisti di Leonardo a protezione di tutte le sedi di eu-LISA: gli headquarters, a Tallinn, in Estonia, il centro operativo di Strasburgo, in Francia, il sito per la business continuity di Sankt Johann im Pongau, Austria, e l’ufficio di collegamento di Bruxelles.

Tutti (all’estero) vogliono il Milan

Le major del calcio italiano sono sempre meno tricolori. Per il Milan è scoppiata addirittura la competizione tra il fondo Investcorp, del Bahrein, che sta trattando l’acquisto del Milan da alcune settimane e la RedBird Capital Partners, la stessa che lo scorso anno ha acquisito per 750 milioni il dieci per cento di Fenway Sports la società proprietaria del Liverpool e dei Boston Red Sox che militano nella Major League di baseball. Pare che la RedBird abbia rilanciato oltre il miliardo di euro per avere il Milano. Intanto De Laurentis sarebbe tentato di cedere il Napoli ma chiederebbe oltre un miliardo di euro. Anche qui gli appetiti arrivano da oltre oceano.

Evviva, riparte il Giro d’Italia. Ma l’avvio è dall’Ungheria di Orban…

Riparte il Giro d’Italia. È una buona notizia. Anche se l’esordio non è politicamente corretto. Invece di prendere il via da Kiev, i ciclisti più seducenti del mondo partono dall’Ungheria di Orban, il paese più filorusso dell’Ue. Ma il Giro fa da sé, un po’ fuori dalla storia quotidiana. Non ostante la pandemia, Il Giro infatti, dalla prima edizione del 1909 (vinta da Luigi Ganna), non ha mai marcato visita. Solo le due guerre mondiali l’hanno fermato. Ma dopo è subito ripartito. La prima volta, nel 1919, quando Costante Girardengo, l’”Omino di Novi”, indossò la maglia rosa dalla prima all’ultima tappa in uno scenario segnato dalla Grande Guerra. Anche Luigi Pirandello lo celebrò: “Ah, Girardengo! Grazie a lui abbiamo dimenticato gli orrori del conflitto”. Anche nel 1946, il Giro ripartì subito. Diventando nella memoria il “Giro della Ricostruzione”. Con partenza e arrivo a Milano alla fine su ottanta iscritti lo conclusero solo in quaranta. Gino Bartali, “Uomo di ferro,” si prese la rivincita su Fausto Coppi, il “Campionissimo” ultima maglia rosa nel 1940. A entrambi la guerra aveva “mangiato “ sei anni di carriera. Coppi finendo prigioniero in Africa. Bartali aiutando in Italia gli ebrei ad espatriare nascondendo i documenti nel telaio della sua bicicletta. Da qui, da un’Italia ferita ma felice di ricominciare, ripartì una rivalità mai dimenticata. Il Giro d’Italia ha sempre saputo cogliere i piccoli e grandi movimenti della Storia diventando un perfetto contenitore di scioperi, manifestazioni e proteste. Una ribalta unica. Che vinca il migliore, meglio se tricolore.

Milano: nessuno vuole fare il gelataio

Estate a rischio a Milano. No, il riscaldamento globale non c’entra. A rischio sono le gelaterie, vere oasi dell’estate calda sotto la Madonnina. Mesi di ricerche, decine di offerte rifiutate. Il rischio di non poter aprire la gelateria per manacanza di personale si fa sempre più concreta. Un paradosso: l’Istat regista un aumento delle famiglie in povertà assoluta (9.4% nel Sud e circa 4% al Nord) ma nel mondo del lavoro e delle professioni qualcosa si è inceppato, spiega il quotidiano Il Giorno. A lanciare l’allarme è Gabriele Cartasegna, direttore del Capac, il Politecnico del commercio di Milano, chiamato a formare cuochi, camerieri e gelatai. Ma in crisi di vocazioni. “La professione del gelataio, sia come addetto di produzione che addetto al banco è richiestissima, su Milano e non solo”, spiega Cartasegna che aggiunge: “continuiamo a fare corsi, potremmo farne molti di più vista la richiesta che abbiamo. Addirittura ci chiedono i gelatai dall’estero, ma non troviamo abbastanza ragazzi”. Anche se posti di lavoro sono fissi, spesso a tempo indeterminato, e non soggetti a stagionalità. Il problema è convincere i ragazzi.