Home Economy Asse Meloni-Sunak sull’intelligenza artificiale: “Ma il segreto sta in un libro”

Asse Meloni-Sunak sull’intelligenza artificiale: “Ma il segreto sta in un libro”

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Perché leggere questo articolo? L’intelligenza artificiale è una rivoluzione di cui in Italia si parla molto. Ma su cui abbiamo molti protagonisti sconosciuti, che vanno scoperti per capire che non siamo affatto indietro. Alla luce dell’asse Meloni-Sunak sull’Ia, la parola a Alessandro Aresu

Giorgia Meloni vola nel Regno Unito e raggiunge Rishi Sunak a Bletchley Park per il summit mondiale sull’intelligenza artificiale. E nel teatro del progetto Ultra che nella Seconda guerra mondiale consentì al Regno Unito di scoprire il cuore della tecnologia comunicativa tedesca, decifrandola grazie al genio di Alan Turing, Londra lancia il suo progetto per una governance globale dell’Ia. Ma si può davvero guidare dall’esterno una forza talmente impetuosa? E che senso ha la partecipazione di Meloni al summit? Ne abbiamo parlato con l’analista geopolitico Alessandro Aresustudioso attento alle questioni economiche legate alla tecnologia.

Che segnale politico dà il fatto che il summit si sia svolto a Bletchley, “capitale” dell’uso a fine bellico delle tecnologie di frontiera?

“Ci sono tre aspetti. Il primo è che il premier britannico, che come sappiamo ha pochissimo consenso politico interno, ha individuato questo tema per il suo profilo internazionale, principalmente perché nel Regno Unito c’è Google DeepMind, uno dei leader del settore, che tuttavia come dice il nome è proprietà di Alphabet. Secondo aspetto è, certo, la storia di Bletchley Park e del GCHQ, raccontata nel magistrale lavoro di John Ferris uscito nel 2020, e quindi il legame con la sicurezza nazionale e con le capacità dell’intelligence britannica. Credo che un terzo aspetto sia ancora più importante.

Quale?

Come sappiamo, Alan Turing è morto perché discriminato dal suo Paese per la sua omosessualità, quindi il nome Bletchley Park deve portare a un’interrogazione molto profonda sulle discriminazioni da parte dell’intelligenza artificiale e del modo con cui sono costruiti modelli e programmi. Si tratta di un tema molto importante, che non deve finire in ombra perché si parla solo del cosiddetto “rischio esistenziale”. È questo il modo di celebrare il genio di Turing e il nome di Bletchley Park con onestà intellettuale”.

I delegati di 28 Paesi, tra cui Stati Uniti, Cina e i governi dell’Unione europea, hanno concordato di lavorare insieme per contenere i rischi potenzialmente “catastrofici” posti dai progressi sempre più rapidi dell’intelligenza artificiale. Si tratta di una petizione di principio o di un atto destinato ad aver risvolti concreti?

“Si tratta di una petizione di principio perché poi gli Stati, come mostrato dal recente ordine esecutivo di Biden, hanno la loro agenda e i loro strumenti. Non si può mica fare un Defense Production Act mondiale. È evidente che l’attenzione politica sull’intelligenza artificiale resterà elevata, anche a livello multilaterale, e continuerà a porsi la questione delle relazioni con la Cina. La partecipazione di alto profilo cinese al summit rappresenta comunque un successo per il Regno Unito”.

Nel suo libro “Il dominio del XXI secolo” prefigura l’Ia come un settore decisivo per la competizione geopolitica di domani. La realtà del settore parla di un mondo sempre più competitivo: che scenari si stanno aprendo?

“Con un libro sull’intelligenza artificiale, che uscirà l’anno prossimo, concluderò il percorso che ho avviato nel 2020 con “Le potenze del capitalismo politico”, perché studiare e spiegare questo tema è decisivo per il rapporto tra politica e tecnologia e per comprendere lo stato del conflitto tra Stati Uniti e Cina. Ovviamente l’intelligenza artificiale chiama in causa alcune industrie e filiere essenziali del nostro tempo, a partire dai semiconduttori. Basti pensare al ruolo di NVIDIA, la storia con cui inizierà il mio prossimo libro. C’è poi la trasformazione già in corso di industrie tradizionali, il tema del lavoro e delle sue divisioni. Oltre agli aspetti politici, non c’è dubbio che l’intelligenza artificiale ponga grandi domande filosofiche, sul rapporto tra scienza, industria e filosofia”.

L’Unione Europea si trova vaso di coccio tra vasi di ferro anche in questo campo? Quali sono i settori dove industrialmente possiamo giocare un ruolo?

Finché l’Unione Europea non disporrà di capacità imprenditoriale, non avrà un ruolo mondiale. La nostra priorità deve essere sostenere la capacità imprenditoriale, fare sì che in Europa possano nascere imprese del settore, che queste imprese possano crescere di dimensione e avere un maggiore impatto. Questo fatto è immensamente più importante della regolazione, di dettare regole per le aziende delle altre aree del mondo, se si parla di “giocare un ruolo”.

Non è una contraddizione?

Le due cose non sono in contraddizione ma, come per tutto nella vita, che ci piaccia o no esistono le priorità, e se tu produci solo ricerca e regole senza produrre capacità imprenditoriale su vasta scala, non sei rilevante, punto e basta. Ripeto, anche se parliamo di “Europa”, e quindi includiamo il Regno Unito, notiamo che le realtà imprenditoriali più importanti, come DeepMind e Arm, non sono state nemmeno in grado di avere risorse interne per crescere e sostenersi nel mercato finanziario britannico, quindi senza una reale capacità industriale e finanziaria non è possibile che gli europei abbiano un vero ruolo.

E l’Italia? Come può essere in grado di muoversi nel mare magnum dell’Ia globale?

“Sono assolutamente certo che la cosa più importante che possa fare l’Italia oggi sia tradurre il libro di una delle più importanti ricercatrici al mondo, Fei-Fei Li, “The Worlds I See”, in uscita in inglese proprio in questi giorni, e ho deciso che ripeterò all’infinito questo fatto ogni volta che parlo dell’intelligenza artificiale e della politica della tecnologia. È un libro bellissimo, sicuramente a mio avviso il più appassionante che sia stato scritto sull’intelligenza artificiale: la testimonianza personale della professoressa di Stanford, nata in Cina, racconta attraverso il suo percorso di vita lo sviluppo di uno dei campi di ricerca più rilevanti, la visione artificiale (computer vision).

Di cosa parla questo libro sull’intelligenza artificiale?

Una caratteristica del libro è che la sua storia si intreccia con quella di insegnanti e ricercatori italiani che hanno un ruolo essenziale, sono proprio le persone decisive del suo percorso. Pertanto, in Italia bisogna fare assolutamente conoscere quel libro. Lo dobbiamo a quei protagonisti, che nel nostro dibattito pubblico sono pressoché ignoti e invece devono diventare visibili: non possiamo perdere tempo a parlare di idiozie se poi non sappiamo chi siano Tomaso Poggio e Pietro Perona. Leggere quel libro e conoscere le storie degli italiani che si sono intrecciate con Fei-Fei Li darà una grande ispirazione ai giovani che vogliono intraprendere questa carriera, che vogliono “vedere” i mondi dell’intelligenza artificiale e comprendere il fattore umano della sua rivoluzione. E questa è sempre, di gran lunga, la cosa più importante di tutte”.