Perché leggere questo articolo? Continua la nostra indagine sul modo in cui i social stanno plasmando con i loro modelli lo sguardo sulla realtà dei giovani. L’ascesa di una nuova generazione di “maranza”, il rischio di derive antisociali ed il ruolo che la scuola potrebbe ancora esercitare per arginare gli esempi negativi. L’intervista a Federica Casùla, la “psicologa-social”
Dai social i giovani attingono ampiamente a modelli di riferimento che plasmano i loro valori e lo stile di vita. Inciampando spesso e volentieri in riferimenti che non si può certo definire particolarmente educativi. True News si sta dedicando ormai da qualche tempo al tema. Ne abbiamo iniziato a parlare QUI. Proseguiamo il nostro percorso intervistando la psicologa Federica Casùla, conosciuta su Instagram come ‘psicologa-social’, che ci ha restituito una visione della società di oggi, e del cambiamento portato dal digitale: “Diciamoci la verità: “internet ci rende stupidi”, come afferma Nicholas Carr nel suo celebre libro del 2013. O meglio, il web ha modificato le nostre sinapsi (collegamenti tra neuroni) rendendoci sicuramente più “smart” ma meno capaci di mantenere a lungo tempo l’attenzione su determinati stimoli. Ciò è aggravato anche dall’esposizione precoce ai dispositivi elettronici. Non è raro, infatti, vedere bambini (anche molto piccoli) che guardano video o giocano su tablet e smartphone lasciati loro dai genitori per intrattenerli ed impegnarli. Paradossalmente si sta creando una società iperconnessa ma solo virtualmente, a scapito delle connessioni “offline”.
La psicologa: “I social non devono sostituire le interazioni dal vivo”
È normale associare questo cambiamento positivo o meno ai social ma, come continua psicologa_social: “Sia ben chiaro che non si vogliono demonizzare i social, ma è opportuno però viverli come una fetta della propria vita che non dovrebbe mai sostituire in toto le interazioni “dal vivo”, in una prospettiva di salute e benessere personale e di comunità”. È quindi importante, per combattere l’ignoranza, usare i social come strumento di buona informazione “Bisogna sapersi muovere accuratamente nel web. Trovare qualcosa che possa realmente arricchirci o intrattenerci in maniera sana. È un sacrosanto diritto potersi svagare, ma occorre fare attenzione perché determinati contenuti possono subdolamente avere effetti sulla nostra sfera psicologica ed emotiva”. Dell’argomento True-News ne aveva parlato anche con gli Unfluencer QUI.
L’era social e l’ascesa del “maranza 2.0”
È sul web che si formano dunque le nuove generazioni. E proprio sui social si è definita l’identità di quelli che sono noti come “maranza 2.0”, i cui comportamenti alle volte sono molto criticati. Il termine ‘maranza’ veniva già usato a Milano negli anni ’80 per identificare i classici “tamarri” o “coatti”. Oggi con il termine “maranza” si indicano ancora i classici bulletti con un look più o meno definito. Come sottolinea la psicologa Casula: “Ogni generazione ha avuto i suoi “maranza”: dei ragazzi che si atteggiano da bulletti di quartiere (oltre ciò, però, non sono quasi mai realmente aggressivi e violenti). Ascoltano determinati generi di canzoni e vestono in un modo abbastanza omologato. Possiamo quindi considerare l’essere un maranza, oggi, alla stregua di una moda social imitata dai ragazzini specialmente dal punto di vista estetico e musicale”.
Quando il maranza si vanta di atteggiamenti antisociali
Grazie ai social il fenomeno però ha la possibilità di diffondersi: “Il problema si pone tuttavia nel momento in cui alcuni di questi maranza mostrano atteggiamenti effettivamente antisociali, pubblicando anche contenuti in cui commettono atti illegali, infastidiscono gente e non rispettano le norme sociali. E ne vanno fieri. Il loro modello può essere il trapper che parla di soldi, droga, donne e successo nei suoi brani, oppure lo streamer che nelle sue live irl (“in real life”, ossia dirette in cui una persona va in giro e riprende quello che fa) intrattiene comportandosi in maniera non appropriata nei confronti di chi – sfortunatamente – lo incontra. In alcuni contesti socioculturali è inoltre molto forte il riferimento alla criminalità organizzata. Il fare spavaldo e sicuro col quale questi maranza rivendicano tali azioni può attirare diversi spettatori che potrebbero imitarle non riconoscendone la gravità, per sentirsi anche parte di questo gruppo sociale “dominante”. I social sono infatti un amplificatore di fenomeni negativi. Il modello sbagliato è esistito sempre, ma ora è più raggiungibile e paradossalmente può essere anche stimato per il suo coraggio e menefreghismo”.
Come incentivare un “uso corretto” dei social: il ruolo della scuola
Questi atteggiamenti possono essere ‘rischiosi’ per la società ma soprattutto per le nuove e prossime generazioni ed è necessario quindi agire per arginare il problema: “A mio parere è fondamentale inserire nei percorsi scolastici delle ore di educazione al digitale, finalizzata ad un uso corretto del web e dei social. Per “uso corretto” non si intende solo l’aspetto più pratico (ore di utilizzo, a quali siti fare attenzione ecc…) ma anche il potenziamento di abilità sociali e cognitive: saper attribuire un corretto significato al materiale digitale di cui si usufruisce o che si produce e sviluppare empatia nei confronti delle persone con le quali si interagisce (che ci sia o meno uno schermo a mediare)”, propone la dottoressa Casula. E ancora: “Estenderei inoltre lo stesso progetto ad altre fasce d’età. Organizzando incontri rivolti ad adulti ed anziani per aiutarli a comprendere non solo i rischi, ma anche le risorse del mondo digitale. Sul web si possono trovare infatti anche molti esempi positivi di divulgazione e sensibilizzazione”.