(Adnkronos) – “La recente sentenza della Corte di Cassazione apre, con quest’ultima pronuncia, le porte a quello che ho chiamato reddito civile, ossia la definizione di un livello retributivo dignitoso calibrato sul costo della vita reale dei lavoratori in funzione del contesto o territorio di appartenenza. La definizione di un livello salariale minimo uguale per tutti, così come si sta proponendo, e che non tenga conto delle differenze in termini di costo della vita dei lavoratori, sarebbe in evidente contrasto con il principio di uguaglianza. Ciò proprio in considerazione delle argomentazioni teste espresse della sentenza della Suprema Corte e riferita alla necessità che tale salario debba assicurare oltre alla sopravvivenza anche la possibilità di partecipare ad attività culturali educative e sociali”. Così, con Adnkronos/Labitalia, il giuslavorista Francesco Rotondi, consigliere esperto del Cnel, secondo cui “la questione è sociale e di natura pubblica: qualora il datore di lavoro per le ragioni suesposte non fosse in grado di garantire un salario adeguato, lo Stato dovrà intervenire integrando la differenza di quota mancante: una sorta di integrazione salariale civile”, spiega Rotondi.
“La Corte, infine, in più occasioni ha espresso un altro importante principio, questa volta riferito all’importanza della contrattazione collettiva e, quindi, dell’attività delle parti sociali. In tal senso, infatti, si legge nella parte motiva che, resta sempre valido il monito formulato dalla giurisprudenza di questa corte con cui si invita il giudice che si discosti da quanto previsto dai contratti collettivi ad usare la massima prudenza e adeguata motivazione giacché difficilmente è in grado di apprezzare le esigenze economiche e politiche sottese all’assetto degli interessi concordato dalle parti sociali. La contrattazione collettiva non è solo numeri, ma assetto contrattuale, gestione di reciproche concessioni ed opportunità”, chiosa Rotondi.
Secondo il giuslavorista ed esperto del Cnel “la lettura della Corte di Cassazione rispetto al tema salariale è quasi un’ovvietà. Non vi è dubbio alcuno sui principi ricordati dalla Corte, ossia che il principio costituzionale relativo ad una retribuzione congrua e in grado di assicurare una vita dignitosa deve essere rispettato. Il vero tema è il come va individuata la violazione e chi deve garantire quel minimo. Al di la infatti della possibilità che la magistratura possa o meno intervenire ad assicurare il rispetto del precetto costituzionale in ogni singolo rapporto sottoposto alla sua attenzione, appare necessario quanto urgente un intervento più generale, articolato e organico”, spiega.
“In relazione al chi, sul tema lasciato correttamente aperto dalla norma costituzionale, mi sembra che vi sia una grande confusione. In particolare, ipotizzare che il datore di lavoro, a prescindere dalle condizioni di mercato, dalla propria attività d’impresa volta alla redditività e sostenibilità finanziaria possa garantire un salario identificato al di fuori dello scambio commerciale, non solo nazionale, mi pare impossibile”, conclude.