Home Primo Piano Chiara Ferragni, prima vittima del suo Truman Show

Chiara Ferragni, prima vittima del suo Truman Show

Chiara Ferragni, prima vittima del suo Truman Show

Perché questo articolo potrebbe interessarti? Anche l’agenzia di comunicazione trevigiana alla quale Chiara Ferragni si era affidata per risollevare la sua immagine ha deciso di interrompere la collaborazione con l’influencer. Ma quanto sta costando in termini economici e di reputazione all’imprenditrice cremonese il Pandoro gate? True News ne ha parlato con Andrea Barchiesi, ceo di Reputation Manager.

Anche l’agenzia ingaggiata da Chiara Ferragni per risollevare la sua immagine ha abbandonato l’influencer cremonese. Nel tentativo di salvare la reputazione dell’imprenditrice digitale, Community, agenzia di comunicazione trevigiana, avrebbe messo a punto una strategia, con un piano da seguire, ma, secondo quanto riportato da Il Gazzettino, i consigli degli esperti sarebbero rimasti inascoltati.

Chiara Ferragni, fatturato in discesa libera

Intanto continua la “discesa libera” del fatturato dell’imprenditrice digitale, cominciata con il Pandoro-gate: sono molti i marchi che stanno rescindendo i contratti, e la Ferragni continua a perdere follower.

Il danno non è solo di immagine, ma anche e soprattutto economico. Ultimo marchio, in ordine di tempo, a rescindere il contratto con la Ferragni è stato Pantene, la prima azienda a sfilarsi dalla collaborazione con l’influencer è stata Safilo e, a cascata, le cartiere Paolo Pigna, la Coca Cola (che a fine 2023 ha deciso di bloccare uno spot con testimonial la Ferragni), Perfetti Van Melle, la società che produce caramelle e gomme da masticare che ha ritirato dal mercato le famose Daygum con l’occhiolino, il logo del brand Ferragni.

Il rischio dell’effetto domino

L’effetto domino potrebbe riguardare altri marchi che hanno scelto di legare la loro immagine a quella della Ferragni, come Nestlè, Proctler & Gambler, Calzedonia, L’Oreal, Intimissimi, Tod’s (a fine marzo l’imprenditrice è uscita dal cda dell’azienda ma non per motivi legati al Pandoro gate).

Ma quanto sta costando in termini di calo di fatturato e di reputazione l’abisso verso il quale la Ferragni è precipitata con la storia della falsa beneficenza?

Le due società di Chiara Ferragni

Fenice, la società che gestisce il marchio Chiara Ferragni, in una nota ha recentemente precisato «di non aver riscontrato fino a metà dicembre 2023 alcuna contrazione del proprio fatturato, con la conseguenza che i dati di bilancio 2023 risentono solo in parte dell’eventuale diminuzione delle vendite». In merito al fatturato relativo all’esercizio 2024, Fenice specifica «di operare in più Paesi le cui performance sono state solo parzialmente impattate dagli eventi di dicembre ’23. All’inizio del secondo quadrimestre 2024, la Società stava lavorando per ottenere i migliori risultati possibili entro la fine dell’anno corrente, nel medesimo spirito di sempre». Il management di Fenice starebbe operando «per una sua ulteriore espansione, tanto che alcuni nuovi importanti contratti, e nuove politiche di rafforzamento in Italia ma soprattutto all’estero sono al momento in analisi da parte del Board di Fenice».

Il danno economico

Secondo alcune stime realizzate dalle associazioni dei consumatori il danno economico per la Ferragni solo per il Pandoro-gate potrebbe aggirarsi attorno ai 5 milioni di euro (multa e successiva promessa di donazione inclusi). Il danno maggiore deriverebbe dalla risoluzione del contratto con Pantene. Le performance delle due società della Ferragni subiranno sicuramente una contrazione rispetto ai numeri da record registrati prima dello scandalo che ha travolto l’influencer. Secondo quanto riportato dal Corriere della sera, Fenice conta un giro d’affari da 61 milioni di euro e ha chiuso il 2022 con ricavi per 14,2 milioni, in crescita del 115% sul 2021. I ricavi netti della sua seconda società, la Tbs Crew, sono invece passati dai 7,1 milioni del 2021 ai 14,6 del 2022 (+105%). Nel 2023 Fenice avrebbero chiuso a 71 milioni e quello di Tbs Crew a 18,9 milioni di euro, con utili netti complessivi pari a 8,5 milioni.

Ferragni ha creato un Truman show di cui è regista e protagonista

Come ha spiegato in più occasioni e nella sua rubrica su Prima Comunicazione Andrea Barchiesi, ceo di Reputation Manager, società specializzata in Web Reputation e tutela di brand sul web., Chiara Ferragni ha creato un Truman Show di cui è regista e protagonista. “Ma quando crei il tuo Truman Show personale”, spiega l’esperto, accendi un’attenzione morbosamente alta su di te; stai proiettando un successo patinato molto accentuato e gli italiani fanno fatica a perdonare il successo, quando è ostentato. Ancora di più se diventa eticamente rubato: questa cosa non si perdona”.

L’esperto: “La sua vita dorata si rivela un boomerang”

Per Barchiesi, “l’invidia sociale latente verso una vita dorata e la sua esposizione costante (…) si rivela oggi un boomerang. La società civile nel suo complesso fa molta fatica ad accettare il successo ostentato, la ricchezza e la narrazione del lusso, soprattutto in un momento economico di stress con l’inflazione che ha toccato livelli alti riducendo il potere d’acquisto reale. Lo tollera finché è meritocratico ma nel momento in cui sembra basato su un inganno tutto cade come un castello di carte e dove c’era merito si legge solo inganno e truffa.

Non conta il seguito ma cosa si comunica

Barchiesi si sofferma poi sull’aspetto valoriale degli influencer; “Non conta solo quanto seguito si ha, ma cosa si comunica, che valori si portano nel messaggio e nella società civile. Non parliamo solo di etica, ma di qualità del contenuto, che può essere disvaloriale a vari livelli. Se la reputazione di un influencer è intaccata sul piano etico, questo limita fortemente le sue possibilità. La reputazione è come una licenza a operare nel mercato, nel momento in cui viene persa la società civile ti spegne. Non è solo una questione di comunicazione. Le aziende oggi sono infatti tenute a rendicontare tutte le ricadute delle loro attività sul piano dei principi di sostenibilità che, ricordiamo, non significa solo impatto ambientale ma anche impatto sulla società in generale. Va da sé che non è più possibile, oltre che opportuno, associare il proprio brand a un soggetto disvaloriale”.