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A Favino la postfazione del libro di Vannacci

Chi è Pierfrancesco Favino

Nella scuola elementare frequentata da chi scrive, sulla porta dei bagni, ad indicarli, c’era la dicitura “cessi”. Poco elegante, molto italiana, era un’eredità del periodo fascista. Di quando il regime aveva proibito le parole di origine straniera entrate nel vocabolario. Bisognava purificare anche il linguaggio quotidiano. Niente WC, termine importato dalla perfida Albione.

Adam Driver non può essere Enzo Ferrari

Il ricordo è stato sollecitato dalla recente presa di posizione di Pierfrancesco Favino, che, a Venezia, smentendo se stesso e il bel monologo sull’accoglienza fatto pochi anni fa sul palco di Sanremo, ha criticato le parti di personaggi italiani interpretate da attori americani. Non sappiamo se la sua sia specificatamente un’antipatia personale per Adam Driver, il suo collega americano al quale è stata assegnata la parte del Drake nel film su Enzo Ferrari (che poi, nomen omen, chi meglio di un Driver nei panni del padre del Cavallino?). Driver è colpevole, secondo Favino, di aver anche interpretato il ruolo di Maurizio Gucci nel film con Lady Gaga-Patrizia Reggiani House of Gucci.

Un attore californiano (e non del Nebraska come qualcuno ha ironizzato), il succo del discorso, non è il più indicato per interpretare un personaggio modenese come Ferrari. Attori italiani per ruoli italiani. Ricorda vagamente (ma non troppo) slogan come “Padroni in casa nostra” e “Prima gli italiani”.

Che Padrino sarebbe stato senza Marlon Brando?

Ovviamente adesso si fa a gara per ricordare al buon Favino tutti i ruoli di personaggi italiani interpretati da attori stranieri.

Ve lo immaginate Il Padrino senza Marlon Brando e gli altri? E Novecento di Bernardo Bertolucci? Se qui il regista avesse applicato il protocollo Favino, non avremmo avuto Gerard Depardieu, Robert De Niro, Burt Lancaster, Donald Sutherland nella pellicola uscita nelle sale nel 1976. Lancaster, tra l’altro, era già recidivo, essendo stato il principe di Salina nel Gattopardo con un nipote (aggravante) interpretato dal francese Alain Delon nel capolavoro del 1963 di Luchino Visconti.

L’endorsement di Edwige Fenech (che non ha mai perso l’accento francese)

L’elenco di citazioni si allunga ogni giorno che passa, ma Favino, non certo un attore “emarginato”, considerati i numerosi film dei quali è protagonista (Venezia 80 ha aperto con Il Comandante, suo il ruolo principale), sembra non indietreggiare sulla sua posizione, dopo gli endorsement del regista Pupi Avati e, udite udite, di Edvwge Fenech, regina della commedia sexy anni Settanta in Italia. Dove avrebbero dovuto preferirle attrici italiane, seguendo il ragionamento di Favino, essendo lei una franco-algerina che non ha mai perso l’accento di Oltralpe.

Che poi, osserva qualcuno, Pierfrancesco Favino è l’attore romano che ha recitato in un improbabile siciliano quando ha indossato i panni di Tommaso Buscetta ne Il traditore.

State certi che la polemica si spegnerà con le luci del Lido quando la Mostra di Venezia avrà chiuso i battenti, forse qualche giornale cercherà di rintuzzarla all’uscita del Comandante nelle sale. A meno che… a meno che il generale Roberto Vannacci, che a breve porterà il suo Il mondo al contrario nelle librerie, non decida di ampliare il suo pampleth con una postfazione affidata a Favino. Titolo: La sostituzione etnica degli attori italiani: dietro c’è Soros?