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Valle d’Aosta, la politica estera della regione più ingovernabile d’Italia

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Perché questo articolo potrebbe interessarti? La Valle d’Aosta è un agglomerato di record eterogenei. Coi suoi 3.263 km² di superficie è la regione più piccola d’Italia. Coi suoi 122.000 abitanti è la regione meno abitata. Le sue periodiche turbolenze la rendono una delle più politicamente instabili. Il Pil pro-capite la posiziona in cima alla classifica delle regioni più ricche. E la geografia la incunea tra il polmone d’Italia, il triangolo Piemonte-Lombardia-Genova, e il polmone d’Europa, il triangolo Francia-Svizzera-Germania.

La Valle d’Aosta è un cantiere politico aperto. Un territorio dal respiro internazionale, con un grosso potenziale inespresso in termini di politica estera. True-News.it ha intervistato Stefano Aggravi, membro del Consiglio regionale della Valle d’Aosta; e vicecapogruppo Lega – Vallée d’Aoste; componente II Commissione permanente – Affari generali e componente Consiglio politiche del lavoro.

Consigliere Aggravi, qual è il posizionamento internazionale della Valle d’Aosta? Con quali paesi dialoga maggiormente la politica estera valdostana?

Per ragioni storiche, geografiche e linguistiche la Valle d’Aosta intrattiene da sempre rapporti con Francia e i cantoni Svizzeri; che sono a lei più prossimi. A esempio il Vallese, con cui è stata siglata nel 1990 una convenzione sulla schema della Convenzione europea di Madrid 1980 sulle collaborazioni transfrontaliere. Tra l’altro, il rapporto con le Autorità francesi e svizzere è anche “dovuto”. Gestiamo con loro due asset viari fondamentali: il Tunnel du Mont-Blanc e il Tunnel du Grand-Saint-Bernard. Sono poi formalmente definiti ad oggi accordi di cooperazione e/o protocolli di intesa con la Comunità francofona del Belgio (1993), il Voivodato di Warmia e Masuria in Polonia (1999), la Provincia cinese di Zheijang (1995), il Cantone Svizzero di Jura (2003), la Regione di Liberec della Repubblica Ceca (2007), la Regione svedese di Orebro (2007), nonché la Contea di Romania dell’Harghita.

Storia e geografia sono elementi essenziali quando si parla di forgiare una politica estera, ma non indispensabili. La diplomazia siciliana, ad esempio, ha raggiunto paesi remoti come Ucraina e Kazakistan. Parlando di Valle d’Aosta, quali sono le prospettive per una trasformazione della regione in uno snodo centrale dei traffici fra Italia, Svizzera e Francia?

La Valle d’Aosta è spesso chiamata il Carrefour d’Europa e nel corso della storia è stata sempre terra di passaggio, nonché finanche di mire “espansionistiche” soprattutto dall’Oltralpe – si pensi ad esempio alla Mission Mont-Blanc nel periodo del dopoguerra.
Va detto però che ad oggi, oltre al sostegno economico ed ai contributi che l’Amministrazione regionale mette in campo a favore dell’internazionalizzazione delle sue imprese, manca altro. Forse un problema tutto italiano, ma che penso, almeno per una realtà di confine e fieramente autonoma come la nostra, dovrebbe essere risolto in maniera differente. Vuoi per la microdimensione delle nostre imprese e le non poche problematiche logistiche della nostra posizione intra-montana, ma qualcosa in più dobbiamo farla soprattutto dal punto di vista lobbistico.

Il corridoio Reno-Alpi non fa menzione della Valle d’Aosta, eppure la sua collocazione geografica la renderebbe adatta ad essere una fermata-chiave di questo sistema transnazionale. Attualmente composto da due direttrici, entrambe con origine in Genova, il corridoio risulterebbe più efficiente se fosse potenziato da una terza direttrice e, in tal caso, una fermata-chiave potrebbe essere Aosta.

Ai tempi della questione “No Tav” la Valle d’Aosta si fece promotrice, con poche speranze purtroppo, di essere la naturale alternativa al passaggio di quella importante infrastruttura, anche perché la nostra ferrovia si ferma qui. Allo stesso modo si rispolverò lo storico progetto del corridoio ferroviario Aosta-Martigny, ma senza successo.

Oggi, con le prospettate chiusure “forzate” del Tunnel du Mont-Blanc per manutenzioni, il tema torna à la une ma mi chiedo quale ne sia il peso politico che possiamo portare al tavolo Europeo. Nel nostro piccolo, ai nostri eurodeputati del gruppo Identità e Democrazia, il tema lo abbiamo posto e lo riproponiamo da sempre.
Il passaggio da Aosta risulta strategico per il porto di Genova, nonché per tutta l’economia del nostro Nord-Ovest, ovvero anche della Savoia, la più ricca tra le zone industriali della Francia. La Valle in questo senso deve cercare, per quanto possibile, di recuperare il troppo tempo già perduto.

Roma, Milano, Torino e Napoli sono le centrali elettriche d’Italia, qui è dove si trovano agenzie nazionali, grandi università e think tank. La nascita di un dibattito politico e pubblico sulle “nuove necessità” – terre rare, cambiamento climatico, guerre ibride, transizione verde – potrebbe essere l’occasione per Aosta di proporsi come sede di qualche futura agenzia o centro studi?

Sarebbe di notevole interesse per lo sviluppo della nostra capitale regionale, bensì anche per il fatto che siamo e restiamo per l’appunto uno dei crocevia d’Europa.

Montagna, natura, acqua e cambiamento climatico sono temi su cui si potrebbe e dovrebbe lavorare. In particolare su questo ultimo punto tanto stanno facendo realtà di ricerca (una su tutte la Fondazione Montagna Sicura) e penso che questo know-how e la loro stessa presenza dovrebbe essere meglio venduta in Italia e poi in Europa. Non ci possiamo infatti dimenticare che ai tavoli europei contano gli Stati, le regioni altro non sono che oggi delle comprimarie, se non anche di secondo o terzo peso. Qui nasce l’idea che sposo da sempre di rafforzare – possiamo dirlo? – l’apparato lobbistico valdostano sia a Roma che a Bruxelles e, perché no, anche a a Parigi o Ginevra.

Concludendo, quali sono, secondo Lei, le prospettive e le potenzialità per una trasformazione della Valle d’Aosta in una “regione diplomatica” dotata di una politica estera in grado di incidere positivamente e significativamente sugli interessi nazionali?

A differenza di tanti, anche appartenenti alla mia area politica ovvero anche alleati, che hanno criticato il cosiddetto Trattato del Quirinale con la Francia, io ritengo che proprio su questo tema la Valle d’Aosta avrebbe dovuto presentarsi come naturale terra di contatto per rafforzare una collaborazione strategica per il nostro futuro in Europa.

La Francia ha il nucleare, rapporti con molti paesi africani (seppur in deterioramento) e poi, diciamocelo, meglio con noi che con altri. Credo nella realpolitik e questo trattato penso debba riguadagnare importanza anche nel riequilibrio dei rapporti con la Germania di entrambi i paesi. L’Italia deve finire di essere considerata marginale perché porta di ingresso e confine reale del Sud d’Europa.

Al contempo, la Valle d’Aosta potrebbe giocare un ruolo molto importante nel raffreddare gli asti e consolidare i rapporti tra Roma e Parigi. Qualcuno dice che qui da noi manchi una vera leadership stabile per poter fare tutto questo. Io penso, invece, che dobbiamo prima di tutto liberarci dal nostro particolarismo isolato di facciata per farne invece un atout strategico per il nostro futuro.