Home Politics Rivolte, l’Italia è troppo individualista per diventare la Francia

Rivolte, l’Italia è troppo individualista per diventare la Francia

Francia, rivolta

Perché leggere questo articolo? L’omicidio da parte di un agente di polizia di un diciassettenne ha messo in luce gli effetti di decenni di politiche discriminatorie in Francia. I quartieri popolari del Paese sono in rivolta. Alcuni esperti spiegano perché non c’è pericolo che ciò avvenga anche in Italia.

La morte del 17enne Nahel, ucciso da un poliziotto durante un controllo stradale a Nanterre, ha precipitato la Francia nel caos. Nelle periferie sono esplose le rivolte, un fenomeno ciclico. La memoria torna all’estate 2005, quando nelle banlieue gli scontri durarono tre settimane. Il paese fa sempre più i conti con quanto scritto su ‘Le Figaro’ dal sociologo Mathieu Bock-Côté: “Scene di popolazioni che non credono di appartenere allo stesso popolo”. Un concetto ripreso da Jérôme Fourquet nel saggio ‘L’Archipel français’, in cui sostiene che la Francia sia un arcipelago costituito da numerose isole incapaci di comunicare tra loro. Nonostante i tentativi di paragone, non si può dire che l’Italia sia simile alla Francia. Per capire le differenze con l’Italia, True-news.it ha intervistato Pedro Vianna, esperto di storia delle migrazioni; e il giornalista Francesco Maselli profondo conoscitore della realtà francese.

Le banlieue in Francia sono diverse dalle periferie italiane

Una prima differenza sta nel luogo. Le banlieue in Francia sono diverse dalle nostre periferie. Con il termine banlieue si indica una fascia urbana che circonda il centro città delle metropoli francesi. Non ci sono solo banlieue povere e disagiate ma anche ricche, come ad esempio Versailles. La sociologa Paola Rebughini ha descritto le differenze tra periferie italiane e francesi in un saggio del 2004. In “I giovani di origine straniera a Milano: tra inserimento sociale e ricerca dell’identità”, la studiosa ha analizzato come “La principale risiede nel fatto che le prime non sono fortemente separate dal resto del tessuto urbano, come invece accade per quelle francesi e inoltre quelle italiane non sono costituite da concentrazioni di persone con una stessa origine nazionale, come avviene invece nelle banlieue.

I residenti delle periferie francesi (le banlieues) sono soprattutto “figli di immigrati e nipoti di immigrati che sono nati in Francia o arrivati piccoli nel Paese, socializzati qui e quasi sempre di nazionalità francese”. Lo spiega Pedro Vianna, poeta francese ed esperto di storia delle migrazioni e diritti d’asilo. Le periferie ospitano molte persone provenienti dal Nord Africa e dalle antiche colonie francesi, stabilitesi nelle banlieue al termine della seconda guerra mondiale. A partire dagli anni ’70 questi sobborghi hanno iniziato ad avere problemi di disoccupazione che i vari governi non sono riusciti a gestire.

Il razzismo in Francia si sta “americanizzando”

Oltre a ciò si sono aggiunte le tensioni razziali, anche da parte della polizia. Tensioni che hanno portato molti media a paragonare i metodi delle forze dell’ordine francesi a quelle statunitensi. “Ogni confronto comporta dei rischi“, dice Vianna. “Ma, come per tutti gli altri aspetti della società, c’è senza dubbio una “americanizzazione” della polizia francese, in particolare dopo la legge dell’inizio del 2017 che amplia le situazioni in cui i poliziotti possono fare uso delle armi”. Nell’assassinio di Nahel secondo l’esperto “c’è senza dubbio una componente razzista. Il razzismo è radicato nelle pratiche istituzionali e il tutto è accresciuto dalle discriminazioni sociali di classe”.

La frattura della nazione francese è evidente e presente da sempre. “In tutti i grandi momenti della sua storia la Francia è stata profondamente divisa”, prosegue Vianna. “Come tutte le società, quella francese è composta da classi e gruppi sociali con interessi divergenti che si scontrano, in modo più o meno violento a seconda delle epoche. Senza tornare così indietro come alla guerra dei Cent’anni, basti pensare alle guerre di religione, alla Fronda, alla Rivoluzione francese, al periodo dell’occupazione e della resistenza, ma anche alla guerra d’Algeria”, conclude.

Le rivendicazioni dei giovani che vivono nelle banlieue metterebbe in crisi “l’idea di società concepita come totalità” studiata da Rebughini. In Francia i giovani che scendono in piazza non si identificherebbero più con lo stato e sembrano fare “riferimento all’individuo in senso astratto, senza riconoscergli alcuna particolarità culturale”. Da qui il concetto di Francia come arcipelago, come insieme di isoli divise, incapaci di riconoscersi.

La Francia è un arcipelago, in Italia regna l’individualismo

Il nostro Paese però non correrebbe il rischio di diventare l’arcipelago delineato dal sociologo Fourquet perché “i legami famigliari contano ancora moltissimo, c’è una mobilità minore rispetto alla Francia”. Così afferma il corrispondente di ‘l’Opinion’ Francesco Maselli che ha approfondito il concetto di “arcipelago francese”.  Un’altra differenza con la Francia, secondo il giornalista, è quella per cui in Italia difficilmente vedremo manifestazioni di questa portata. Perché le proteste non sono radicate nella nostra cultura politica. “Da noi c’è meno partecipazione alla vita pubblica. Gli italiani sono molto più individualisti e molto meno abituati a dare vita allo scontro politico. L’Italia è diventata una società meno interessata anche perché, diversamente dalla Francia, che è un Paese giovane, il nostro è un Paese più vecchio demograficamente”, conclude.