Home Politics Nuovi proibizionismi: la Gran Bretagna vuole eliminare le sigarette entro il 2030

Nuovi proibizionismi: la Gran Bretagna vuole eliminare le sigarette entro il 2030

Nuovi proibizionismi: la Gran Bretagna vuole eliminare le sigarette entro il 2030

Perché questo articolo potrebbe interessarti? Il primo ministro britannico Rishi Sunak intende vietare l’uso e la vendita di sigarette alle persone nate dal 1 gennaio 2009. Seguendo il modello neozelandese in vigore dallo scorso dicembre, Sunak vorrebbe progressivamente alzare l’età legale per fumare tabacco, fino ad arrivare al divieto di fumo totale. Obiettivo? Gran Bretagna “smoke free” entro il 2030.

 

Un secolo dopo, torna il proibizionismo. Secondo il The Guardian, infatti, il governo del Regno Unito sta considerando di vietare l’uso e la vendita di fumo totale per le future generazioni. L’obiettivo del governo inglese è rendere il Paese completamente “smoke free” entro il 2030.
Come? Il primo ministro britannico Rishi Sunak ha intenzione di proibire l’uso di sigarette per i nati dal 2009 in poi, con conseguente finalità di alzare progressivamente l’età minima per poter fumare tabacco, fino a rendere illegale, nel lungo termine, l’uso di fumo per tutti.

 

Una mission (im)possible: la Nuova Zelanda docet con un modello già in atto

Quella di Sunak sembrerebbe una decisione alquanto intrepida, probabilmente mirata a riottenere consensi da parte dell’elettorato più sensibile alle tematiche ambientali e della salute dopo le aspre critiche ricevute sulle sue azioni politiche in merito a clima ed edilizia scolastica. La mission impossible del primo ministro inglese si basa, in realtà, su un modello già in atto: quello neozelandese. Dal dicembre scorso, infatti, la Nuova Zelanda ha proibito l’acquisto di sigarette alle persone nate dopo il 2008. Ogni anno il limite di età sarà aumentato, finché non diventerà illegale fumare per tutta la nazione entro il 2025. Altra misura adottata dal governo neozelandese è ridurre drasticamente la quantità di nicotina nei prodotti contenenti tabacco e imporne la vendita solo nelle tabaccherie specializzate e non più nei supermercati – cosa che già accade in Italia. Il numero dei venditori autorizzati al commercio di questi prodotti sarà ridotto a 600 dagli attuali 6.000.
Il piano anti-fumo adottato dalla Nuova Zelanda sta già registrando risultati positivi – il numero dei neozelandesi che fumano quotidianamente è in continua diminuzione –, perciò il primo ministro britannico Sunak intende emularne il modello.

 

Switch to vape: le sigarette elettroniche come alternativa al fumo

Ma come può la politica anti-fumo proposta da Sunak convincere gli attuali fumatori adulti inglesi? La sua soluzione: le sigarette elettroniche. Gli “svapi” diventerebbero la strategia alternativa al fumo su cui puntare.
Difficilmente gli abituali consumatori di fumo accetterebbero di smettere di fumare senza che gli venga offerta almeno un’alternativa in cambio. Il programma nazionale “swap to stop”, presentato dal ministro della sanità inglese Neil O’Brien, prevede di offrire gratuitamente un milione di kit per il vaping – quindi a circa un fumatore inglese su cinque -, oltre alla possibilità di usufruire di supporto professionale, come aiuto e incentivo a smettere di fumare.
In realtà non è una una novità per il Regno Unito promuovere metodi di riduzione del danno da fumo: dal 2010, infatti, il governo ha implementato le campagne informative sull’utilizzo delle sigarette elettroniche, ottenendo una diminuzione del tasso sul fumo di oltre il 29%.
Alla possibile obiezione che questa strategia “pro-svapo” possa favorire la proliferazione di sigarette elettroniche presso i minori, il primo ministro è pronto a rispondere con un piano di divieto di vendita e distribuzione agli adolescenti. Sebbene sia già illegale vendere vaporizzatori ai minori, non è invece vietata la distribuzione di campioni gratuiti da parte dei rivenditori e delle società di marketing: il prodotto, infatti, non è coperto dalle norme sulla pubblicità del tabacco, che ne vietano la distribuzione gratuita. La stretta di Sunak allo svapo infantile sarà altrettanto dura come quella al fumo. E’ attualmente in corso la valutazione della possibilità di mettere al bando le sigarette elettroniche usa e getta, la cui utenza è ampiamente costituita da consumatori minorenni.

 

In Italia c’è già chi si schiera a favore

Dall’Italia arrivano le lodi del professor Riccardo Polosa, fondatore del Centro di Eccellenza Internazionale per la Ricerca sulla Riduzione del Danno da Fumo (CoEHAR) dell’Università di Catania, molto favorevole all’iniziativa britannica. Polosa definisce la proposta inglese “un cambiamento rivoluzionario che ci auguriamo possa essere ripetuto in molti altri paesi. Si tratta di un’azione concreta e razionale di politica sanitaria. Non solo l’iniziativa aiuterà milioni di fumatori a smettere definitivamente di fumare ma garantirà al governo inglese un risparmio senza precedenti in termini di costi per l’assistenza sanitaria”. Per il professore le nuove politiche inglesi riusciranno a realizzare gli obiettivi auspicati da tutti i governi: aiutare gli adulti a smettere di fumare e impedire a bambini e non fumatori di iniziare a svapare, grazie alla doppia garanzia sia del supporto economico, sia dell’assistenza specialistica per affrontare il percorso di uscita dalla dipendenza.
Sempre in Italia, il 26 gennaio 2023, è stata lanciata la raccolta firme “stop al tabacco entro il 2030” da parte dell’Istituto Mario Negri di Milano in collaborazione con la Società Italiana di Tabaccologia (SITAB); progetto che si inserisce all’interno dell’iniziativa europea promossa dalla ONG spagnola Nofumadores, volta a raccogliere 1 milione di firme in tutta Europa per vietare la vendita di tabacco e prodotti a base di nicotina ai cittadini europei nati dopo l’1 gennaio 2010.
Ovvia l’approvazione dell’organizzazione internazionale dei consumatori di sigarette elettroniche, la World Vapers’ Alliance, ma non tarderanno ad arrivare le proteste da parte dell’industria del tabacco.

 

La lotta al tabagismo: i pro e i contro

La lotta al tabagismo comporterebbe ingenti benefici sia alla salute degli esseri umani sia al pianeta. La produzione di sigarette costa al mondo circa 600 milioni di alberi all’anno, 200 mila ettari di terreno e 84 milioni di tonnellate di anidride carbonica rilasciate nell’atmosfera. La sigaretta risulta avere ruolo significativo nell’inquinamento del Pianeta: è l’oggetto più disseminato, contenente sostanze chimiche altamente tossiche per l’ambiente.
Per non parlare dei noti danni alla salute umana. Anche il risparmio sanitario sarebbe rilevante. Il British Journal of Healthcare Management ha pubblicato uno studio che ne quantifica le cifre: il sistema sanitario nazionale britannico potrebbe risparmiare fino al 13% – 500 milioni di sterline -, se metà dei fumatori passassero dalle sigarette ai vaporizzatori.

 

Divieto di vendita di fumo: rischio proliferazione di contrabbando e illegalità

Ma questa battaglia non è esente da contraddizioni, possibili fallimenti e risvolti negativi. Un fatto già lo dimostra: la Commissione Europea ha pubblicato una Carta Verde su come applicare al meglio il Framework Convention on Tobacco Control dell’Oms, un trattato che obbliga l’Unione Europea e i suoi Stati membri a proteggere i loro cittadini dal fumo passivo; meno di due settimane dopo, però, il Parlamento Europeo ha abolito le misure che vietavano il fumo nei suoi locali, andando contro la Carta Verde e rendendo difficoltosa l’applicazione della norma da poco approvata.
Inoltre, la storia insegna che in passato le leggi proibizioniste non hanno portato effetti positivi: nell’America proibizionista del secondo decennio del Novecento, infatti, il consumo di alcol è diminuito solo in un primo tempo, per poi aumentare, incontrollato. Di conseguenza sono incrementati anche il contrabbando, la corruzione e la spesa del governo, dal momento in cui una grande fonte di entrate fiscali è stata rimossa dal proibizionismo stesso.
Sarà questo il futuro del Regno unito nel 2030 o l’obiettivo di un Paese “smoke free” sarà effettivamente raggiunto con successo? E quanto il modello potrebbe essere eventualmente riprodotto in un Paese dalle caratteristiche sociali decisamente diverse come l’Italia?