Notte di negoziati e tensioni al Consiglio europeo, come era facile immaginare da settimane. Alla fine “ha prevalso il buonsenso”, sintetizza Giorgia Meloni nelle sue dichiarazioni dal vertice di Bruxelles. Il Consiglio ha concordato di finanziare il sostegno all’Ucraina con un prestito da 90 miliardi di euro per il biennio 2026-2027, una cifra che si inserisce nella strategia europea per assicurare la sopravvivenza finanziaria di Kiev di fronte alle “urgenti esigenze” che la guerra comporta.
Niente risorse dagli asset russi: una scelta obbligata?
Resta il fatto che l’accordo ha escluso – almeno per ora – la soluzione più discussa: usare gli attivi sovrani russi congelati. Il meccanismo, definito da diversi leader come “troppo complicato” o “rischioso” da un punto di vista finanziario e legale, è stato temporaneamente accantonato. “Gli asset rimangono nelle conclusioni”, ha sottolineato Meloni, chiarendo che “la decisione più importante l’abbiamo già presa qualche giorno fa, quando abbiamo immobilizzato gli asset garantendo che non vengano restituiti”. Parole che ribadiscono la continuità delle sanzioni contro Mosca.
Lo strumento concreto: debito comune e prestito immediato
La via scelta? Un debito Ue comune. I prestiti verranno garantiti dal bilancio europeo e saranno erogati attraverso il mercato dei capitali, sostenendo la stabilita del sistema finanziario continentale. “Kiev rimborserà questo prestito solo una volta che la Russia avrà pagato i risarcimenti”, ha dichiarato il presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa, rilanciando: “Le nostre decisioni sono un contributo fondamentale per raggiungere una pace giusta e duratura in Ucraina”. Quest’approccio permette all’Ucraina di incassare rapidamente il sostegno, rispondendo alle pressioni del Fondo monetario internazionale e alla necessità di risorse nel secondo trimestre del 2026.
Chi partecipa e chi resta fuori: il caso Orban
La cooperazione rafforzata è stato lo strumento tecnico scelto per superare i veti: Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca potranno restare fuori da questo meccanismo e “non avranno alcun impatto sugli obblighi finanziari”, come riportato nelle conclusioni del vertice. Viktor Orbán, vero mattatore laterale della partita, si è opposto ferocemente all’uso degli asset russi e ha definito la decisione “estremamente sbagliata che avvicina l’Europa alla guerra”. Una posizione che lo conferma come ago della bilancia e garante, almeno sul piano interno, degli interessi e delle paure di una parte del continente.
Le reazioni dei protagonisti e le voci opposte
Dalla parte opposta Bart De Wever, premier belga, si è detto soddisfatto del compromesso raggiunto: “Se sai fare il tuo lavoro, e parli con le persone, si può arrivare a un accordo. Non c’è mai stato un dibattito se avessimo dovuto aiutare l’Ucraina, ma come. Se non avessimo raggiunto un accordo avremmo fallito”. Non manca anche una certa amarezza da parte dei sostenitori della proposta originaria: Ursula von der Leyen e il cancelliere tedesco Merz che, fino all’ultimo, avevano puntato su un uso immediato degli asset congelati, subiscono ora la “sonora sconfitta politica” di veder congelata la questione – nel senso più letterale del termine.
Zelensky: l’autonomia europea in gioco
Decisivo nel sollecitare il compromesso è stato, ancora una volta, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Nelle sue parole un tono tra la determinazione e l’ammonimento: “L’Ucraina rischia la bancarotta alla fine del primo trimestre del 2026… da questo dipende la capacità ucraina di combattere”, ha dichiarato, sottolineando che una decisione in extremis era indispensabile “entro la fine dell’anno”. Ai leader Ue, in privato, Zelensky ha posto una domanda retorica destinata a restare negli archivi: “Qualcuno può davvero credere nelle future garanzie di sicurezza se l’Europa non riesce a prendere questa importantissima decisione?… Se ciò non avviene ora, i russi – e non solo loro – penseranno che l’Europa può essere sconfitta”.
I motivi dell’indecisione e i nuovi scenari
Perché, allora, questa scelta? L’avversione al rischio, definita “nuovamente prevalente nell’Ue”, ha segnato l’andamento dei negoziati. La soluzione finale, secondo un diplomatico italiano, ha permesso di “evitare costi eccessivi e di non gravare sulle finanze pubbliche già in difficoltà”, soprattutto una volta trovato l’accordo sui rischi legati alla posizione del Belgio. Resta comunque la traccia aperta della proposta “prestito di riparazione”, su cui la Commissione e il Parlamento europeo continueranno a lavorare – ma più in là, sul terreno tecnico e legale.
Cosa accadrà ora? Un’Europa a due velocità
Il Consiglio europeo tornerà sulla questione nella prossima riunione, a conferma di un cammino che sembra destinato a mantenere più di una incognita. Come le stesse conclusioni dell’accordo ricordano, restano sul tavolo il rafforzamento delle industrie di difesa, la lotta alla corruzione in Ucraina e la differenza nei percorsi di politica di sicurezza tra i membri Ue. Non manca quindi il rischio, già evocato più volte, di un’Europa “a due velocità” anche sul versante della solidarietà internazionale.
Una domanda per il futuro
Come sottolineava una fonte diplomatica, “la soluzione scelta al Consiglio europeo permetterà all’Ucraina di sopravvivere finanziariamente” ma, come si chiede ancora Zelensky, “che senso avrebbero le parole sulla solidarietà europea se questa scelta non fosse stata fatta?”. Resta da capire, nel medio periodo, se questo compromesso costituirà anche una garanzia di tenuta geopolitica e morale dell’Unione stessa. Il futuro, con la questione degli asset russi ancora in sospeso e l’Ucraina sempre in prima linea, appare destinato a riservare nuove stagioni di tensioni e trattative serrate – fino al prossimo bivio.
