Home Politics Emergenza suicidi in Università, parlano i genitori di una vittima: “I professori devono fare di più” – Inchiesta

Emergenza suicidi in Università, parlano i genitori di una vittima: “I professori devono fare di più” – Inchiesta

Università emergenza suicidi

Antonio Cerreto, 25 anni di Torre del Greco in provincia di Napoli, la mattina del 19 luglio si è lanciato nel vuoto da una delle finestre della facoltà di Lettere Moderne in via di Porta di Massa. Gli inquirenti hanno aperto un’indagine per istigazione al suicidio ma intanto i suoi genitori si chiederanno per sempre il motivo.

Antonio ha rinunciato agli studi. Antonio ha rinunciato alla vita. Quali delle due rinunce ha posto degli interrogativi nel mondo universitario?

Secondo la classifica 2021 elaborata dal Censis che mette in fila le università d’Italia (statali e non statali) e i politecnici, ultima tra i mega atenei statali è l’Università di Napoli Federico II. L’istituto di ricerca ha analizzato la qualità del sistema universitario italiano in base a strutture disponibili, servizi erogati, borse di studio, livello di internazionalizzazione, comunicazione e occupabilità.

A TrueNews parlano i genitori di Antonio, suicida a Napoli

Rosalba ed Aniello sono i genitori di Antonio e non smetteranno mai di esserlo. Persone semplici, umili, buone. Sono distrutti ma nei loro occhi e nelle loro parole vive Antonio. A TrueNews parlano di Antonio ma non solo: “Era un ragazzo tranquillissimo. Molto altruista, quando vedeva qualcuno in difficoltà era il primo a farsi avanti. Ascoltava molto. Gli piaceva leggere e studiare. Il suo sogno era inizialmente il giornalista ma poi è diventato il professore. Ha avuto sempre la vocazione di aiutare i ragazzi in difficoltà, spronava chi dei suoi amici non voleva più proseguire gli studi. Era un ragazzo serio e amava tantissimo la nonna. Gli piaceva stare in casa e in famiglia. A volte parlavamo di cambiare casa per dare una cameretta solo a lui (Antonio ha due sorelle più piccole) ma lui rispondeva che voleva dormire con le sue sorelle, stava bene così”.

Per Rosalba e Aniello l’Università ha fallito con Antonio:” Non capiamo il sistema universitario. Loro credono che siano uomini ma sono ragazzi con le proprie fragilità, vanno ancora incontro alla formazione della vita. Non hanno già vissuto, devono ancora vivere e loro hanno l’obbligo di avvertire i genitori se c’è qualcosa che non va, perché a casa ci sono genitori che aspettano i figli e non i carabinieri. Quando vedono i ragazzi in difficoltà, tramite gli esami, devono avvertire, la privacy non esiste sulla vita umana, esiste la salute dei nostri figli”. Pagando la retta si sbloccano gli esami, pagare la retta senza fare gli esami non sblocca niente in chi dovrebbe controllare. Se un genitore si reca all’Università per avere notizie sul percorso di studi del figlio, per privacy non può essere rivelato nulla. Post mortem forse, ma ormai è troppo tardi.

Rosalba e Aniello ci tengono a lanciare un messaggio ai tanti giovani che si trovano in difficoltà nel percorso universitario:” Parlate, perché parlare è l’unica via d’uscita dal malessere, parlate con chiunque, con un amico, con i genitori. La mamma e il papà vogliono soltanto il bene dei figli, lasciate perdere i soldi, il tempo perso, mamma e papà pensano alla salute dei figli. Se si parla con i genitori c’è il rimedio a tutto. Solo alla morte non c’è rimedio, per il resto si aggiusta tutto”.

Il commento degli studenti dell’Università Federico II

Niccolò Maria Ricci, 24 anni, frequenta lo stesso Ateneo di Antonio anche se nell’indirizzo di Scienze Storiche, dipartimento di studi umanistici. Nelle sue parole ci sono i sentimenti del giorno dopo. Un silenzio assordante che ha sorpreso Niccolò:” La prima cosa che mi ricordo di questa tragedia è il fatto che il giorno dopo tutto sembrava scorrere normalmente. Mi sono ritrovato a passare a Porta di Massa proprio il giorno dopo, e questa percezione che “nulla fosse successo in quel luogo” mi ha lasciato per un po’ stordito. Stordito se confronto quella calma con le reazioni a caldo della vicenda. Leggevo tramite i commenti sui social del dispiacere – che penso sia stato sincero – da parte di molti studenti che frequentano Porta di Massa, così come quello dei professori; anzi nelle ore immediatamente successive alla tragedia, con diversi miei amici che frequentano lo stesso luogo ci siamo scambiati messaggi di forte apprensione e preoccupazione per quanto accaduto. Ma il giorno dopo sembrava tutto normale, eccezion fatta per la biblioteca Gramsci e l’aula studio occupata che sono rimaste chiuse in segno di rispetto. Personalmente non conoscevo il ragazzo che si è lanciato ed ha scelto il suicidio. Però quello che ho osservato, dopo quanto accaduto, è la mancanza di una vera risposta unitaria, forte, collettiva di studenti e docenti, che quanto meno doveva esserci e non consumarsi solo tramite i social. Non c’è stata un’occupazione, una manifestazione, uno sciopero; e secondo me non si tratta di indifferenza, ma di un vero blocco. Siamo rimasti bloccati. Invece la scelta di questo ragazzo non dovrebbe bloccarci nel dispiacere e nel continuare i nostri affari giornalieri, ma anzi dovrebbe interrogarci. Perché l’università sta diventando un luogo di morte e non di sogni?”

Mentre Giuseppe Napolitano, 23 anni, frequenta lo stesso indirizzo di Antonio (Lettere Moderne). Racconta in particolare la sua solitudine e le pressioni che minano il percorso universitario:” Il peso e le difficoltà degli studi e le pressioni dei parenti, amici condizionano. I docenti si concentrano solo sullo studente dimenticando la persona anche se non sono tutti così. Vivere questi atteggiamenti è dura da accettare. Non conoscevo Antonio. Secondo me lui ha accumulato rabbia per il tempo che passava a non riuscire a dare esami, poi stress, tensione sicuramente. Studiare esami difficili e non essere ben seguiti non è semplice per tutti. Queste insoddisfazioni forse hanno influito. Io mi sono sentito solo spesso. La solitudine all’Università è amplificata, perché ti trovi in qualcosa di grande da solo. Se chiedi aiuto trovi anche disponibilità, ma se non chiedi sei solo. Nessuno si accorge di te e delle tue difficoltà. Ho incontrato professori che erano eccessivamente esigenti e precisi, per un minimo errore si alteravano e si indisponevano con arroganza inibendomi e mettendomi solo in difficoltà. Quando si incontrano questi professori la reazione psicologica può essere frustante. Quando si è in difficoltà non è sempre semplice chiedere aiuto. Spero che questo tragico episodio possa smuovere qualcosa”.

Antonio Cerreto, i suoi sogni infranti all’Università

Antonio non è solo un giovane morto a 25 anni. Antonio è un giovane di 25 anni morto all’Università. E non è stata una fatalità ma una scelta. Antonio ha mascherato la sua sofferenza per troppo tempo. Intanto lui continuava ad essere un giovane con sogni, obiettivi e una sensibilità latente.

Aveva fatto pochi esami ma aveva già comprato il libro dei test per l’esame di abilitazione all’insegnamento perché il suo sogno era diventare un professore. Antonio mentiva agli altri ma non a sé stesso, era consapevole del suo percorso universitario. Ma prima di presentarsi all’appuntamento con la morte forse voleva vivere il suo sogno finché poteva.

Il silenzio e l’indifferenza del mondo universitario sono il risultato di una sconfitta che trova purtroppo solo conferme. L’ufficio stampa della Federico II fa sapere a TrueNews che il rettore, Matteo Lorito, non rilascia dichiarazioni ma riferisce dell’esistenza di uno sportello. “Esiste il centro Sinapsi in Ateno per le disabilità e per tutti gli studenti che sono in difficoltà con uno sportello di ascolto. Si potenzierà perché è l’unico modo per l’Ateneo di dare un aiuto ma deve essere sempre lo studente ad aprirsi e parlare con qualcuno. È un centro fatto ed istituito da professori. Bisogna sempre proporsi”.

Non basta probabilmente. I giovani in difficoltà vanno individuati perché non sempre si ha il coraggio di chiedere aiuto.

Rosalba e Aniello non hanno mai pressato perché si fidavano del figlio che diceva che andava tutto bene. Si sono fidati ingenuamente. Per Antonio la morte è stata l’unica via di fuga che ha trovato da un ‘mondo’ che non ha saputo accogliere i suoi sogni e le sue debolezze. La società, l’Università e la famiglia dovrebbero essere in grado di presentare altre via d’uscita ai ragazzi che si perdono, perché perdersi non può essere una colpa e lanciarsi nel vuoto nel cortile dell’Università non è una fatalità. Professori, rettore aprite gli occhi, le coscienze e sentitevi responsabili. Genitori parlate e chiedete anche quando va tutto bene, perché così come voi fareste di tutto per un figlio anche un figlio farebbe di tutto per un padre e una madre.

L’analisi di Stefano Zecchi

Stefano Zecchi, filosofo, scrittore e opinionista italiano, ex professore ordinario di estetica presso l’Università degli Studi di Milano, analizza per Truenews il rapporto tra i giovani e l’Università. “In linea generale sono poche le punte di diamante tra le Università italiane, molte volte vivono per dare stipendio ai professori e non per fare formazione agli studenti. Penso a tante università venute su per clientelismo in cui non ci sono biblioteche adeguate, centri di ricerca”.

La vita universitaria inizia uscendo dalla comfort zone, un giovane si confronta per la prima volta con la diversità culturale, sociale e formativa che è un aspetto fondamentale della crescita personale, decisivo per la formazione dell’uomo e della donna, prima ancora che professionista. Il numero di matricola davanti al proprio nome. Chi fa poi fatica non solo è un numero ma diventa anche un numero invisibile.

“Il paradosso italiano è che noi abbiamo grandi abbandoni e poco laureati rispetto al resto del mondo occidentale spiega Zecchi-. Poi ci sono molti disoccupati tra i laureati, quindi vuol dire che c’è un meccanismo perverso tra la formazione e il mondo del lavoro. Questo comporta disorientamento e incapacità di affrontare situazioni problematiche. L’Università deve essere anche un luogo di accoglienza. Tante piccole università sono fatte per gli insegnanti e non per i giovani. Ci dovrebbero essere dei campus in cui accogliere i giovani, fare in modo che ci siano frequentazioni, socializzazioni. Il periodo universitario è il periodo di grande maturazione personale. In questo è indietro l’Università Italiana rispetto alle università del mondo occidentale”.

È evidente una mancanza di dialogo che parte dalla famiglia. Il non deludere i genitori diventa prioritario e indispensabile. La mancanza di dialogo amplifica un peso che giorno dopo giorno, sconfitta dopo sconfitta diventa troppo per un giovane. “Manca la capacità dei genitori di ascoltare i figli e questo porta i ragazzi ad allontanarsi da una relazione comunicativa con i genitori. Bisogna stabilire un contatto con i figli. Un dialogo che può essere semplice ed elementare. Chiaro che poi un giovane si sente solo. Il primo ancoraggio educativo è la famiglia”.

La prima responsabilità educativa è dei genitori mentre quella formativa è dell’Università.

“Il problema dell’Università che è vecchia come struttura di formazione- continua Zecchi-. Non aiuta i giovani a crescere e a formarsi, perché la nostra scuola è tutta basata a giudicare quello che non sai e non a premiare quello che sai e questo porta le persone fragili in situazioni di insicurezza e di incertezza e così il ragazzo perde l’autostima, perde sé stesso e perde la vita”