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“Il nuovo codice di Salvini rende le strade ancora più pericolose”

“Il nuovo codice di Salvini rende le strade ancora più pericolose”

Perché leggere questo articolo? Via al nuovo Codice della Strada. Tolleranza zero per guida in stato d’ebbrezza e stupefacenti, ma il testo limita anche autovelox, ciclabili e zona 30. Per Fiab e altre associazioni è un “codice della strage che renderà più pericolose le nostre strade”. Polverini: “Codice figlio di una visione Novecentesca della mobilità”. L’intervista

Semaforo verde per il nuovo Codice della strada. Con 163 voti a favore e 107 contrari, la Camera ha dato il via libera al disegno di legge, che ora passa all’esame del Senato. Tolleranza zero sulla guida in stato d’ebbrezza o sotto l’effetto di stupefacenti. Il testo inasprisce le misure contro chi usa il telefono alla guida, con sanzioni fino a 1000 euro e la sospensione della patente se recidivo. Ma limita l’uso degli autovelox e la realizzazione di nuove piste ciclabili. Allarga, invece, le maglie delle auto a grossa cilindrata che possono guidare i neopatentati. Inoltre, il nuovo Codice ostacola, di fatto, i provvedimenti comunali di riduzione della velocità: è secco il ‘no’ alle aree urbane a 30 chilometri orari.

Più velocità, meno sicurezza. Ed è subito polemica e mail bombing. In meno di un’ora, le caselle di posta elettronica di Palazzo Madama sono state invase da oltre mille email per dire “stop al nuovo codice della strage”. È ciò che si legge nella lettera promossa dal coordinamento di varie associazioni tra cui Cickilisti, Vittime della strada, Legambiente e Fiab. Secondo cui la norma appena approvata “renderà complessivamente le strade italiane, su cui già muoiono oltre 3000 persone all’anno ancora, più pericolose”.  Per Luca Polverini, consigliere nazionale della Federazione Italiana Ambiente Bicicletta intervistato da True-News.it, questo codice non riuscirà a salvare vite. Anzi, allontanerà gli obiettivi del Piano Sicurezza Stradale 2030.

La Camera ha approvato il nuovo Codice della strada. Rinominato da molte associazioni, tra cui la vostra, “Codice della strage”. In quanto Federazione Italiana Ambiente Bicicletta cosa ne pensate dunque? Cosa manca e su cosa siete principalmente contrari?

La velocità è il grande assente in questo nuovo Codice. E su questo siamo profondamente contrari. L’eccesso di velocità è la prima causa di incidentalità e di morte sulle strade, ma di fatto non è stata tenuta in considerazione come fattore determinante sia degli incidenti, sia della pericolosità degli stessi. Dal nostro punto di vista la moderazione della velocità avrebbe dovuto essere la prima problematica su cui intervenire per scrivere un Codice “per salvare vite”, citando il Ministro Salvini. Come Fiab, come ciclisti e parte dell’utenza stradale più vulnerabile, riteniamo che invece questa cosa non si verifichi con l’attuale disegno di legge.

Quali sono i punti più controversi che non sono stati emendati nel testo e che invece Fiab sostiene?

Innanzitutto chiedevamo che fossero normate in maniera più precisa tutte le realizzazioni implementate col Governo Conte in periodo Covid. Tra cui la corsia ciclabile, il doppio senso ciclabile e la casa avanzata, ovvero la linea d’arresto per le biciclette di fronte agli altri veicoli che consente di ripartire in sicurezza. Tutti strumenti per favorire una mobilità leggera, che il nuovo Codice straccia via o comunque ridimensiona. Andando in direzione completamente opposta rispetto a una mobilità sicura e sostenibile. Anche la stretta sugli autovelox, secondo cui all’interno di una stessa strada nell’arco di 50 minuti si potrà essere sanzionati una sola volta, non va nella direzione della sicurezza. Il rispetto della normativa dopo la prima sanzione spetterà quindi soltanto al buonsenso del cittadino, che però si sentirà più facilmente autorizzato a trasgredire i limiti di velocità.

Ma qualche merito questo nuovo Codice della strada lo ha?

Qualche merito ce l’ha, sì. Primo fra tutti l’aver finalmente portato alla ribalta il problema del Codice stradale italiano, che datava 1992. Non si è infatti mai parlato così tanto in Italia dell’esigenza di cambiare mobilità. Il nuovo testo ha anche altri meriti, dettagli su cui però agisce in maniera molto blanda. Come le restrizioni sulla guida in stato d’ebrezza e sotto stupefacenti, o le strette sull’uso del telefono alla guida: inefficaci se i controlli non vengono implementati e se agiscono principalmente su chi è già stato colto in flagrante. L’unica norma che tocca positivamente il mondo della bici è l’introduzione del metro e mezzo di distanza nel sorpasso. Un piccolo merito, depotenziato però enormemente dal fatto che la norma prescrive l’obbligo soltanto laddove le dimensioni della strada lo consentano. Quindi, di fatto, non vale nelle strade più strette che caratterizzano molti centri urbani italiani. Non è dunque un codice della strada che affronta in modo esaustivo le grandi tematiche. Agisce solamente su alcuni dettagli, ma in modo non sistematico né scientifico.

Secondo lei il nuovo Codice penalizza i ciclisti e la mobilità sostenibile, strizzando invece l’occhio al mondo dei motori?

Sì, credo che favorisca molto i veicoli a motore. Per un motivo molto semplice: la stretta su autovelox e Ztl, minori controlli, la possibilità per i neopatentati di guidare cilindrate più potenti sono tutti esempi che favoriscono una mobilità novecentesca. Ovvero una mobilità che ormai ha fatto il suo corso e non è più sostenibile.

Mentre la stretta sugli autovelox, in un certo senso, strizza l’occhio ai vari Fleximan?

Mi sembra proprio di sì. Il Ministro Salvini non si è mai completamente dissociato da questo metodo. Ha solo dichiarato che “Fleximan non è lo strumento, ma si deve porre fine al Far West degli autovelox”. Riteniamo grave che Salvini non condanni questo comportamento, per noi inaccettabile. Questa stretta sui dispositivi di rilevamento di velocità strizza l’occhio, se non a Fleximan, sicuramente ad una mentalità che vede nell’autovelox non uno strumento di sicurezza, ma di ingiusta repressione.


Cosa servirebbe introdurre invece per rendere le strade veramente più sicure? Come associazione cosa chiedete?

Fiab chiede, prima di tutto, che si parta dai centri urbani. Dove avviene la maggioranza degli incidenti più gravi. È importante prevedere sempre più zone 30, con limiti di velocità intesi non solo come restrizione, ma anche come ripensamento dello spazio urbano. Per rendere le città luoghi sicuri e a misura di persona, migliorando le strade, le ciclabili e il trasporto pubblico. Questo lo si fa soprattutto con investimenti economici e infrastrutturali. Chiediamo anche un’educazione stradale che si basi sul principio della condivisione dello spazio. Infatti vorremmo che all’esame per il conseguimento della patente si prevedesse un percorso di educazione civica. Inoltre servono più controlli, non nel senso di repressione ma come modello educativo e di sicurezza.

Il testo ostacola e limita l’autonomia delle amministrazioni locali, rendendo il Piano Sicurezza stradale 2030 un obiettivo sempre più lontano secondo lei?

Sì. Più viene burocratizzata tutta la normativa, più le amministrazioni locali devono rispondere all’organo centrale per agire su questioni che sono spesso prettamente territoriali: come le zone 30 e l’installazione di dossi rallentatori o di autovelox. Ciò comporta una perdita di autonomia e un forte rallentamento sulla realizzazione degli obiettivi della sicurezza stradale. Che invece devono essere perseguiti lasciando alle autonomie locali la capacità di rispondere alle esigenze del territorio.

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