Home Politics Civil war, gli Usa non sono più nel caos solo al cinema

Civil war, gli Usa non sono più nel caos solo al cinema

Civil war, gli Usa non sono più nel caos solo al cinema


Il 18 aprile esce nelle sale italiane Civil War, diretto da Alex Garland, prodotto dalla famosa casa cinematografica A24. Quest’ultima ha prodotto pellicole d’autore, discostandosi dallo stile commerciale delle grandi major. La cinematografia americana storicamente ci ha abituati a diversi film politici, critici di quella democrazia che attualmente sta affrontando un contesto geopolitico e sociale complicato. Ricordiamo capolavori come Tutti gli uomini del presidente (1976) di Alan J. Pakula, JFK – Un caso ancora aperto (1991) di Oliver Stone fino ad arrivare a produzioni più recenti come The Post di Spielberg e Vice – L’uomo nell’ombra (storia dell’ambiziosa ascesa al potere del vicepresidente Dick Cheney).

Civil War, il film che parla del confine col Messico

Quest’anno Hollywood ci delizia con un interessante film di fantapolitica, Civil War. Il film nel particolare tratta di una possibile guerra civile, dove le forze del governo centrale si trovano a combattere la seconda guerra civile contro l’alleanza degli stati occidentali composta da California e Texas. Il tutto viene raccontato attraverso le esperienze di un gruppo di giornalisti che documentano l’accaduto. Uno scenario distopico che non ci si augura di vedere in un futuro, ma osservando la situazione contemporanea americana sembra non essere semplicemente frutto della fantasia cinematografica.

Riemerge il tema dell’immigrazione massiccia proveniente dal Sud America, e si riaccende la tensione soprattutto al confine tra Messico e Texas. In Texas il governatore repubblicano Abbott, ha di fatto schierato un esercito per fermare questi flussi migratori di migliaia di persone. Così facendo si è creata una crisi istituzionale con il governo del Partito democratico, che non vede di buon occhio un’operazione di questa scala avviata autonomamente dal Texas. Questa iniziativa permette di far capire come ci sia forte insoddisfazione da parte degli Stati del Sud riguardo l’operato della Casa Bianca.

Gli Usa sull’orlo del baratro, non solo al cinema

Il governatore Greg Abbott ha chiamato quest’operazione Lone Star e i risultati sono stati un aumento degli arresti del 278% tra il 2020 e il 2021. Ad aprile del 2022 sono stati spesi circa 2,5 miliardi di dollari all’anno, sono stati arrestati circa mezzo milione di migranti, di cui 40 mila arresti penali. Piena è stata la solidarietà e il sostegno degli stati repubblicani in favore del Texas, creando ancora più divisione e ostilità politica nei confronti di Washington.

In generale questa operazione è stata fortemente criticata per l’operato violento perpetrato sui migranti e inoltre sulla legittimità. A fine gennaio di quest’anno la Corte Suprema si è pronunciata contro il governatore e ha dichiarato che il Texas deve rimuovere i 48 km di filo spinato dislocati lungo il confine. Nonostante la sentenza Abbott ha deciso di accentuare le difese alla frontiera, dichiarando che Biden ha tradito gli accordi con gli stati a causa della conduzione della politica di open border.

Un paese sempre più diviso

E’ alta la fetta della popolazione americana che rimane convinta che le elezioni del 2020 siano state “rubate”, ed infatti è fresco il ricordo dell’assalto a Capitol Hill, quando appunto i sostenitori di Trump tentarono il “colpo di stato”. È interessante notare come l’elettorato di Trump non è più solo la maggioranza delle povere regioni del Sud, bensì anche la classe media bianca delle zone industriali del nord degli Stati Uniti. In vista delle elezioni presidenziali di novembre emerge che c’è effettivamente una spaccatura sociale nel paese.

Negli ultimi quattro anni di mandato il governo di Joe Biden non è riuscito a rimarginare la disuguaglianza ed al contrario si è accentuato il distacco tra la borghesia delle coste, già ricche e ben più istruite, rispetto alla popolazione del sud che risulta essere ancora più impoverita. Vi è una sempre più costante alienazione e distacco da parte della classe intellettuale delle coste con quella fetta di popolazione insoddisfatta che ha visto un sempre più grande processo di deindustrializzazione e impoverimento anche a causa della globalizzazione. Si chiude sempre più a riccio la classe abbiente che si rifiuta di ascoltare i problemi della massa americana, facendo di fatto ascendere la popolarità del populismo trumpiano che calca soprattutto proprio su questa divisione sociale. Fenomeno frutto di una sempre più debole fiducia nel governo centrale e soprattutto nell’élite del partito democratico.

Tutti gli imperi cadono


Come dice il Sole 24 ore negli anni Settanta sei americani su dieci erano parte della classe media. Con un reddito di circa 60 mila dollari all’anno. Dopo cinquant’anni la percentuale è scesa al 50%, ma il reddito è salito a 90 mila dollari. La classe borghese si è ristretta, ma è diventata più ricca. Un aumento della disuguaglianza, che porta anche degli effetti sulle classi più povere. Infatti dal 1970 al 2020 c’è stato un aumento del reddito medio del 45 % (da 20.604 a 29.963). Le classi più ricche al contrario hanno visto aumentare considerevolmente il loro reddito medio, infatti è passato da 130.008 al 219.572, ovvero il 69%. Il tutto si può sintetizzare in un semplice concetto, sostenendo che i ricchi sono sempre più ricchi. Mentre le classi più povere nell’arco di quasi mezzo secolo non hanno visto variare la propria condizione in maniera considerevole.

I giornalisti dicono: “Siamo americani”. Il soldato risponde: “ok, che tipo di americani?”.
Una scena già diventata iconica dove vediamo l’attore Jesse Plemons, che imbracciando un mitra, pone questa domanda ai giornalisti. Che rimangono in silenzio dalla tensione. Dal trailer vediamo anche un’altra frase ad effetto: “Tutti gli imperi cadono”. Cosi il regista vuole farci vedere un possibile decadimento dell’influenza e l’egemonia americana nel mondo, cosa che effettivamente potrebbe avvenire in un prossimo futuro. Siamo abituati a vedere il popolo americano unito da un forte sentimento patriottico. Dal 1865 non ha mai visto un conflitto armato sul proprio territorio. Il regista Garland porta negli Stati Uniti gli orrori della guerra. La divisione sociale e politica la fa da padrona e l’episodio del 6 gennaio 2021 risulta mite.

Civil War, il cinema come riflesso della realtà

Per comprendere le vere insoddisfazioni e i malcontenti degli Stati Uniti non è più sufficiente ascoltare la destra. In quanto si sfocia in una retorica populista e nemmeno la sinistra perché risulta sempre più fuori dalla realtà. Ciò che permette veramente di capire le sofferenze di questo paese, è la sua cinematografia (storicamente lo specchio della cultura americana). Sarà molto interessante vedere Civil War e il suo racconto di un possibile scenario tutto americano.