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Direttiva Csrd, tutti i dubbi del Comitato per la Corporate Governance

Direttiva Csrd, tutti i dubbi del Comitato per la Corporate Governance

(Adnkronos) – La Direttiva CSRD sulla sostenibilità è troppo stringente e rischia di agevolare le imprese extracomunitarie. Il Comitato per la Corporate Governance, costituito da associazioni d’impresa (Abi, Ania, Assonime e Confindustria), investitori professionali (Assogestioni) e Borsa Italiana, invita il legislatore nazionale ed europeo a scegliere una evoluzione normativa ragionevole, che non danneggi le imprese europee. Una presa di posizione che ha un peso rilevante per il mondo ESG. 

Per il Comitato appare importante che la normativa sulla trasparenza della governance e i connessi obblighi in materia si sviluppino con ragionevolezza e proporzionalità, tenendo conto delle esigenze di competitività e flessibilità delle imprese europee e italiane. 

“Appare prioritario – si legge nel comunicato – il completo coordinamento tra gli standard di rendicontazione definiti a livello europeo con quelli accettati a livello internazionale, al fine di evitare che le imprese europee debbano sopportare oneri maggiori rispetto a quelli dei competitor internazionali ed essere esposte al rischio di dover produrre plurime forme di rendicontazione per rispondere alle richieste degli investitori internazionali”. 

Il Comitato chiede che la disciplina di sostenibilità gravi ancor meno sulle imprese di piccole dimensioni.  

In particolare, il comunicato stampa fa riferimento alla cosiddetta Direttiva CSRD, la nuova disciplina europea sul Sustainability Reporting che introduce stringenti e dettagliati obblighi di trasparenza su processi, controlli e procedure adottate per gestire i temi di sostenibilità. La normativa europea fa specifico riferimento alla strategia, al sistema di controllo interno, al sistema di gestione dei rischi e alla politica di remunerazione che vengono scelte dalle società. 

Per questo l’invito è bidirezionale: all’Ue il Comitato chiede di non prendere decisioni che discriminino le aziende europee; al governo italiano chiede di recepire la direttiva in maniera adeguata al panorama italiano. 

La Direttiva sul reporting di sostenibilità delle imprese o Direttiva CSRD (dall’inglese Corporate Sustainability Reporting Directive) è uno dei pilastri del Green Deal europeo. Con questa norma, l’Unione prevede requisiti più severi per la redazione dei rapporti di sostenibilità delle aziende, rispetto alla precedente direttiva NFRD sulla divulgazione di informazioni non finanziare. 

Le aziende interessate dalla Direttiva dovranno comunicare nel report non finanziario: 

– Descrizione del modello di business e della strategia dell’azienda; 

– Obiettivi di sostenibilità stabiliti dall’azienda con una scadenza temporale; 

– Funzione degli organi di amministrazione, gestione e supervisione in materia di sostenibilità; 

– Politiche di sostenibilità adottata dall’azienda; 

– Sistemi di incentivi offerti ai membri degli organi di amministrazione, gestione e supervisione in relazione ai temi della sostenibilità; 

– Procedure di due diligence sulla sostenibilità; 

– Elenco dei principali rischi legati alla sostenibilità. 

Per soddisfare i requisiti della CSRD, i rapporti devono essere certificati da un auditor o certificatore indipendente accreditato. Inoltre, le informazioni devono essere pubblicate in una sezione specifica dei rapporti di gestione della società. 

La Direttiva è entrata in vigore il 5 gennaio 2023 e interesserà circa 49.000 aziende europee. La pubblicazione delle prime relazioni è prevista per il 2024, in base alle seguenti fasi: 

– 1° gennaio 2024 per le aziende con +500 dipendenti già soggette alla direttiva sulla rendicontazione non finanziaria (NFRD), che dovranno presentare le loro relazioni nel 2025; 

– 1° gennaio 2025 per le grandi aziende che non sono attualmente soggette alla direttiva sulla rendicontazione non finanziaria, con più di 250 dipendenti e/o 40 milioni di euro di fatturato e/o 20 milioni di euro di attività totali, che dovranno presentare le loro relazioni nel 2026; 

– 1° gennaio 2026 per gli istituti di credito piccoli e non complessi, gli assicuratori captive e le PMI quotate in borsa. Per queste ultime è prevista una clausola di opt-out, quindi di non aderire alla nuova normativa, fino al 2028. 

Le aziende non presenti in questo elenco potranno comunque decidere volontariamente di aderire a quanto previsto dalla Direttiva. 

Fondamentale, come per ogni Direttiva, sarà la legge di recepimento con cui gli Stati membri fisseranno i criteri da seguire. A tal riguardo, si legge nel comunicato: “Con particolare riferimento al sistema di vigilanza e di enforcement dei nuovi obblighi di rendicontazione, il Comitato auspica inoltre che la disciplina nazionale assicuri la proporzionalità del regime sanzionatorio, tenendo conto dell’ampiezza e della progressiva evoluzione dei contenuti della nuova informativa societaria in materia di sostenibilità”.