Home Flash News Caso Artem Uss, Corte Appello Milano: "Ministero Giustizia non chiese carcere"

Caso Artem Uss, Corte Appello Milano: "Ministero Giustizia non chiese carcere"

Caso Artem Uss, Corte Appello Milano: "Ministero Giustizia non chiese carcere"

(Adnkronos) – Gli Stati Uniti chiesero chiarimenti al ministero della Giustizia italiana sulle decisioni prese nei confronti di Artem Uss, l’imprenditore russo, figlio di Aleksandr governatore della regione di Krasnoyarsk, evaso lo scorso 22 marzo dalla sua abitazione alle porte di Milano. E’ quanto emerge nella documentazione che la Corte d’appello di Milano ha inviato al ministro Carlo Nordio che ha chiesto chiarimenti ai giudici milanesi. La lettera americana porta la data del 29 novembre 2020, mentre la risposta è dello scorso 6 dicembre, quando l’imprenditore era ai domiciliari da 4 giorni. In sostanza il testo chiarisce che è di esclusiva competenza della Corte d’appello, in questo caso quella di Milano, stabilire quale sia la misura cautelare più idonea e si rappresenta come nell’ordinamento giuridico italiano la misura cautelare degli arresti domiciliari – che nel caso di Artem Uss è resa più sicura dall’applicazione del braccialetto elettronico – è in tutto equiparata alla misura cautelare della custodia in carcere.  

In questo caso, la Corte d’appello di Milano ha ritenuto di non dover proseguire con il carcere per l’imprenditore russo, in attesa dell’estradizione negli Stati Uniti, in quanto ‘radicato’ in Italia e anche proprietario di un’abitazione all’interno di un complesso residenziale. La risposta del Ministero è pervenuta, per conoscenza, alla Corte d’appello di Milano solo il 9 dicembre.  

In materia di estradizione la legge è chiara: la corte d’Appello (articolo 299, comma 4 del codice di procedura penale) non può aggravare d’ufficio la misura cautelare applicata se non nel caso di trasgressione, mentre secondo l’articolo 714 (dello stesso codice) il ministero della Giustizia può in qualsiasi tempo chiedere l’aggravamento, emerge ancora nella risposta che la corte d’appello di Milano ha inviato al ministro Nordio. 

Invece sulla decisione dei giudici – che hanno disposto i domiciliari per l’uomo d’affari su cui pendeva l’estradizione chiesta dagli Stati Uniti – né il ministero, né la procura generale hanno presentato appello al tribunale del Riesame. Non essendo stato avanzata nessuna richiesta di aggravamento da chi era autorizzato a farlo (Ministero e pg), la corte d’Appello mai avrebbe potuto sostituire la misura in atto, in assenza di violazione delle prescrizioni.  

Nella relazione al ministero si ripercorrono tutte le fasi di una vicenda che sempre più assume i connotati di una spy story. Artem Uss viene arrestato a Malpensa lo scorso 17 ottobre a Malpensa su mandato di arresto internazionale perché sospettato di aver acquistato dagli Stati Uniti componenti elettronici destinati a equipaggiare aerei, radar o missili, e di averli rivenduti a compagnie russe eludendo le sanzioni in vigore.  

L’8 novembre la difesa chiede i domiciliari, in attesa dell’udienza che dovrà decidere sull’estradizione, e arriva il sì: è proprietario di una casa, ha interessi in Italia, gli viene ritirato il passaporto e questo rende meno probabile il pericolo di fuga, a dire dei giudici milanesi. Domiciliari (a cui si era opposto il pg Giulio Benedetti) che vengono accordati il 25 novembre scorso, ma che diventano effettivi quando arriva il braccialetto elettronico ossia il 2 dicembre 2022.  

Domiciliari che procedono senza intoppi fino al 21 marzo 2023 quando arriva il sì all’estradizione negli Usa per violazione all’embargo nei confronti del Venezuela e frode bancaria.  

Il giorno dopo, il 22 marzo, alle ore 13.52 scatta l’allarme (innescato dal braccialetto elettronico) alla centrale operativa dei carabinieri di Milano, allarme che viene inoltrato ai colleghi di Corsico i quali pochi minuti dopo, esattamente alle 14.07, arrivano dal complesso di Cascina Vione, nelle campagne intorno a Basiglio, ma l’appartamento di Artem Uss è ormai vuoto. Da quanto ricostruito nelle indagini, affidate al pm Giovanni Tarzia, l’imprenditore russo in poche ore ha lasciato l’Italia, con documenti falsi e grazie a una rete di persone (4-5 gli indagati) che gli hanno agevolato la fuga.