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La Techno berlinese è un patrimonio. Ma non per l’Unesco

La Techno berlinese è un patrimonio. Ma non per l’Unesco

Perchè leggere questo articolo? Techno e Berlino, un legame inscindibile. Su questa colonna sonora la capitale tedesca ha ricostruito la propria popolarità dopo la caduta del Muro. Anche per questo è stata inserita nella lista dei patrimoni culturali tedeschi, ma non (ancora) in quelli dell’Unesco. E la fake news della stampa italiana fa riflettere.

La musica Techno di Berlino è patrimonio dell’Unesco. Così si è letto nei giorni scorsi sulle varie testate nazionali d’Italia. Peccato che sia un gran pesce d’aprile. Si tratterebbe infatti di un equivoco, frutto di un errore di traduzione e interpretazione. Un misunderstanding, dunque, che però scatena inevitabili riflessioni sugli strumenti utili a valutare ed accertare la fondatezza delle notizie da parte dei giornalisti italiani. A partire da Google Translator, che va in difficoltà con lingue che non siano l’inglese…

La Techno è un bene nazionale tedesco, non dell’Unesco

Il governo tedesco ha deciso di iscrivere la musica Techno ed altre 120 tradizioni nel Registro nazionale dei patrimoni culturali immateriali. “Che si tratti di sottocultura o di artigianato tradizionale, tutto questo fa parte della ricchezza del nostro Paese”, ha dichiarato allo Spiegel Claudia Roth, ministro della Cultura del governo federale tedesco.

La club culture berlinese è considerata un bene culturale da tutelare per la sua capacità di creare coesione sociale e recuperare spazi urbani industrializzati. La registrazione però ha valore solo nazionale, e perciò la Techno di Berlino non è (ancora) riconosciuta a livello mondiale come patrimonio dell’Unesco. A differenza di quanto è stato scritto dalla stampa italiana.

A muro caduto, la techno ha unito Berlino più della politica

Berlino e Techno, due parole difficilmente scindibili. La musica elettronica infatti è in cima alla lista delle cose da non perdere nella “città dell’orso” (questa la traduzione letterale di Berlino). Club di fama mondiale come il Berghain, il Tresor o il Kater Blau sono parte integrante del tessuto culturale della capitale tedesca. Il legame tra la Techno e la città affonda le radici nel periodo della caduta del Muro. Nonostante le origini statunitensi – in quella Detroit, culla anche del rap – questa musica ha contribuito a connettere i giovani in un periodo politico-sociale non proprio armonioso. Erano infatti gli anni degli Ossi e dei Wessi, termini dispregiativi per definire rispettivamente gli abitanti di Berlino est e Berlino ovest. Ma improvvisamente la Techno ha scosso la città, diluendo nei suoi beat tutte le differenze. Non a caso, molti sostengono che negli anni ‘90 questa musica abbia fatto di più per l’integrazione e l’unificazione delle capitale tedesca che la politica.

Musica Techno, anche traino economico

Nel caos della riunificazione, Berlino viveva nell’incertezza sui diritti di proprietà e sulle responsabilità amministrative. Ma proprio questo vuoto di autorità è stato il terreno fertile per l’apertura dei primi club Techno e dei negozi specializzati. Le persone occupavano spazi in cui poter ballare al ritmo di quel nuovo suono. Creando una specie di realtà parallela in cui evadere e potersi esprimere in libertà, indipendentemente dal modo di vestire, dall’età o dalla provenienza.

Nel tempo la techno di Berlino ha consolidato il suo potere attrattivo, diventando anche un fenomeno di turismo culturale. I club berlinesi vengono visitati annualmente da migliaia di appassionati. Generando introiti economici importanti per la città. Basti solo pensare che alla LoveParade, uno degli eventi di musica techno più importanti al mondo, arrivano a partecipare più di un milione e mezzo di persone.

In Italia sempre la stessa musica: i misunderstanding generano fake news

Vista la grande portata della musica techno berlinese, la stampa tedesca ha ipotizzato di proporla anche all’Unesco come patrimonio mondiale. I giornalisti italiani, però, hanno tradotto male la notizia, fraintendendola e riportandola in modo errato. E così la fake news è proliferata. Un misunderstanding accaduto solo in Italia, nel resto del mondo invece l’informazione è stata data correttamente. L’episodio quindi pone inevitabili riflessioni sullattendibilità dei fatti diffusi sui principali media.

Come ha annotato Pier Luigi Petrillo per il Domani – che per primo ha confutato la fake-news-, proprio in contrasto alla diffusione massiva di informazioni false, nella scorsa legislatura è stata proposta una commissione parlamentare di inchiesta per fissare dei parametri che individuassero la verità in modo oggettivo e assoluto. Dimenticandosi, però, che il pluralismo è la base della democrazia. “Se la disinformazione manca, deve accendersi una spia di allarme in quanto ciò significa che la verità è solo nelle mani di chi decide, ossia del regime”, ha affermato la vice presidente del Garante della Privacy Ginevra Cerrina Feroni. Ma se dunque non si può imporre una verità di Stato assoluta con un intervento normativo, come si potrà limitare la disinformazione?