Home Economy Il rischio di una nuova crisi finanziaria minaccia l’Asia e con lei l’Italia

Il rischio di una nuova crisi finanziaria minaccia l’Asia e con lei l’Italia

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Perché questo articolo potrebbe interessarti? L’Asia è la regione più dinamica del mondo. Qualunque sussulto economico che interessi il continente asiatico non può che avere conseguenze anche in altri Paesi. Il rialzo del dollaro deciso dalla Fed per contenere l’inflazione in Usa potrebbe generare una nuova crisi asiatica. Ci sono già i primi segnali. E il futuro non sembra affatto roseo. 

Cosa succede in Asia

Dal dong vietnamita al peso filippino, il valore delle valute nazionali asiatiche sta scendendo ai minimi storici. Era dal 1997, anno della terribile crisi finanziaria che travolse in pieno la regione, che l’Asia non assaporava un clima del genere. In Oriente i prezzi delle materie prime aumentano e l’inflazione galoppa, mentre imprese e governi sono sempre più nervosi.

Nel breve periodo la decisione della Federal Reserve (Fed) statunitense di aumentare i tassi di interesse per contenere l’instabilità economica degli Stati Uniti sta letteralmente ricadendo sulla regione dall’economia più dinamica del mondo. Con ricadute a cascata, più o meno gravi, per tutti i partner commerciali asiatici, Italia compresa.

I legami Italia-Asia

Il coinvolgimento dell’Italia nel sudest asiatico è grande. L’export italiano in Vietnam, secondo Sace, era pari a 1,34 miliardi di euro nel 2021 (+14,4% nei cinque anni precedenti). Le dinamiche produttive del Vietnam, oltre a confermare il grado di resilienza del Paese, spingono le esportazioni italiane verso Hanoi, previste a +6,9% nel 2022 e +7,7% nel 2023.

“Come tutte le volte che c’è un rialzo del dollaro non sono buoni momenti per i Paesi emergenti”, ha spiegato a true-news.it il consulente economico ed analista geopolitico Amedeo Maddaluno. E questo per due filoni di motivazioni. “Se la Fed alza i tassi si va automaticamente a comprare i dollari. A quel punto i capitali salutano i mercati emergenti – dove è vero che i rendimenti sono alti, ma sono alti come i rischi – e vanno verso i mercati finanziari Usa. I mercati asiatici iniziano ad andare male e abbiamo “il gatto inizia a mordersi la coda””, ha aggiunto.

C’è poi un secondo filone: quello delle materie prime. “La regola aurea dice che quando sale il prezzo del barile, il dollaro si savluta e perde potenza. Ma è altrettanto vero che le materie prime sono pagate comunque in dollari. C’è quindi una doppia pressione che porta l’economia mondiale a domandare dollari. E questo va a svantaggio delle economie emergenti sia per hè vedono un travaso di investimenti sia perché hanno meno dollari”, ha concluso Maddaluno.

Nuvole nere

Per capire le origini degli scossoni economici che interessano l’Asia bisogna guardare dall’altra parte dell’Oceano. La Fed, banca centrale responsabile della stabilità monetaria e finanziaria negli Stati Uniti, ha attivato le sue leve per mitigare la crisi dei prezzi che sta attanagliando il Paese. Il rialzo del dollaro riuscirà pure a contenere l’inflazione Usa. Ma, allo stesso tempo, la mossa di Washington è un incubo per i governi asiatici. Soprattutto per la Cina di Xi Jinping, grande esclusa dalla crisi del ’97 in quanto Pechino aveva rifiutato la liberalizzazione di dieci anni fa. La stessa che aveva invece cambiato volto alle Tigri Asiatiche e ad altre nazioni asiatiche.

L’aumento dei tassi di interesse decisi dagli Usa sta complicando le cose per gli sviluppatori immobiliari cinesi, per altro indebitati e in lotta per evitare il default. Come se non bastasse, c’è quasi un trilione di dollari di ricchezza statale cinese parcheggiata nel debito del governo statunitense. Impossibile, dunque, che il Dragone non subisca le conseguenze dei sussulti della Fed. Accanto al renminbi cinese c’è da monitorare con estrema attenzione il valore dello yen giapponese, in calo del 25% rispetto al biglietto verde in questo anno orribile. Il Giappone è alle prese con una crisi al rallentatore, anche perché Tokyo sta importando crescenti ondate di inflazione attraverso i mercati alimentari ed energetici.

Valute a picco

La panoramica sull’Asia è desolante. In Thailandia il bath thailandese è già in calo di oltre il 10% rispetto al dollaro. Nelle Filippine il nuovo governo di Ferdinand Marcos Jr. è alle prese con un peso in calo del 9,5%. Complice l’aumento dei costi del cibo e di altri beni vitali, milioni di famiglie filippine sfuggite alla povertà nell’ultimo decennio rischiano di tornare all’inferno. Il ringgit malese e la rupia indiana sono scesi di circa il 7%. La rupia indonesiana ha perso il 5% del suo valore. Persino il won sudcoreano è sceso di oltre il 9,5%, causando una forte emicrania alla Bank of Korea.

In Taiwan e in Vietnam, intanto, i potenti deflussi di capitali verso investimenti in dollari ad alto rendimento si stanno aggiungendo alle pressioni sui governi asiatici. Insomma, da qualunque prospettiva si analizzi la situazione, il rally del dollaro, oggi come nel ’97, sta mettendo l’Asia a forte rischio. Nel 1997 la tensione sul cambio del dollaro, da Bangkok a Jakarta a Seoul, divenne letteralmente impossibile da difendere. Un’ondata di svalutazioni diede il via alla famigerata crisi finanziaria asiatica del 1997-98. La storia sta per ripetersi?

La risposta asiatica

Per ridurre al minimo il rischio di questo tipo di calamità, i politici si stanno affrettando a stabilizzare le loro valute. La State Bank of Vietnam ha aumentato i tassi di interesse di un intero punto percentuale. Lo stesso giorno in cui il Vietnam ha alzato i tassi di interesse, il Giappone ha annunciato che sarebbe intervenuto per rafforzare la sua valuta per la prima volta dal 1998. In Cina la banca centrale ha adottato una serie di misure per rallentare il deprezzamento della valuta.

L’attuale posizione degli Stati Uniti alza la posta in gioco rispetto al passato. Il debito Usa supera i 30 trilioni di dollari. Le ricadute dei rialzi aggressivi della Fed potrebbero quindi essere molto più imponenti adesso che non negli anni ’90. Questo è ovviamente di cattivo auspicio per la crescita nell’Asia emergente. In Indonesia, Filippine e Thailandia le valute stanno scivolando a tassi accelerati, proprio come l’impennata dei prezzi delle materie prime globali sta aumentando i rischi di inflazione. L’ inflazione filippina supera già il 6%, ed è ben al di sopra degli obiettivi del governo. Un incubo, o quasi.