Home Economy L’Italia nella competizione economica globale e la “trincea” del golden power

L’Italia nella competizione economica globale e la “trincea” del golden power

L'Italia nella competizione economica globale e la "trincea" del golden power

Il golden power è uno strumento sempre più utilizzato in Italia. Spesso silenziosamente, nel 2023, il governo Meloni ha fatto uso dei poteri speciali dati al decisore politico per mettere dei limiti o imporre prescrizioni a determinate operazioni di carattere industriale in settori strategici che riguardavano attori italiani legati a gruppi esteri in nome delle necessità securitarie oggi predominanti su quelle economiche.

Il golden power e la “legge del più forte”

Casi come quello Cina-Pirelli sono arrivati all’opinione pubblica di massa, ma il perimetro d’applicazione dei poteri speciali è sempre più ampio Il rapporto dei servizi segreti sull’attività dell’intelligence nel 2023 ha dato i numeri del fenomeno. L’anno scorso ci sono state 577 notifiche di potenziali scenari da applicazione del golden power. In termini complessivi, su di essi l’intelligence è intervenuta 409 volte (70,9% dei casi) per costruire scenari operativi sulla cui base poi il governo Meloni ha deciso.

Il golden power è oggi strumento economico e geopolitico al contempo. E si inserisce, sul quadro internazionale, in quella complessa disciplina che è il “geodiritto”. Ben descritta nel saggio “La legge del più forte – Il diritto come strumento di competizione tra Stati” dal giovane avvocato e analista Luca Picotti, cultore della Materia in Diritto dei Trasporti e Diritto Commerciale all’Università di Udine e collaboratore di Pandora. Con Picotti, oggi, True-News dialoga del golden power italiano e delle sue applicazioni, oltre che delle sue prospettive.

Il tema del golden power appare sempre più caldo in un clima di competizione internazionale attiva sul piano dell’economia e delle determinanti della superiorità tecnologica, strategica, commerciale. Come sta evolvendo questa disciplina?

Ci sono almeno tre aspetti che meritano di essere evidenziati. In primo luogo, il golden power nasce nel 2012 come evoluzione della golden share, nella cornice di un adeguamento alla infrastruttura giuridica comunitaria: in altre parole, si doveva evitare l’ennesima procedura di infrazione e dunque disegnare una normativa che fosse in grado di tutelare gli asset strategici senza violare i principi europei di libera circolazione dei capitali e di stabilimento. Anche alla luce di questo, è interessante notare che la disciplina nasce con decreto legge. E sarà sempre modificata tramite decreti legge, in una sorta di permanente condizione emergenziale volta ad espanderne la portata: 2012, 2017, 2019, 2020, 2022, 2023. Una serie di interventi, frettolosi per necessità, volti ad adeguarla al mutare del contesto storico.

Un punto di svolta è stato il Covid…

Si. I primi due punti ci guidano verso il terzo: da strumento eccezionale, disegnato più per evitare ulteriori frizioni con l’Unione europea che per ragioni strategiche (nel 2012 l’attenzione verso le operazioni societarie in settori delicati era poco matura), è diventato, a partire soprattutto dall’accelerazione del 2020, un perno centrale a tutela della sicurezza e degli interessi nazionali, con un’estensione significativa della portata, facilitata peraltro da una maggiore tolleranza delle istituzioni comunitarie, costrette anch’esse a prendere atto del nuovo contesto di competizione economica, tecnologica e geopolitica.  Oggi la presenza del golden power è data così per scontata che ne si evoca lo spettro per tutto, da una potenziale acquisizione di Electrolux all’ex Ilva, senza nemmeno più considerare il tenore letterale della norma. Ecco, questo rappresenta la faccia della medaglia più problematica

Dal Covid-19, il golden power è stato sempre più enfatizzato come una delle garanzie sulla sicurezza degli asset strategici. Che settori tocca, principalmente, la sua applicazione?

Premesso che l’esercizio dei poteri speciali rimane comunque residuale rispetto al numero di operazioni notificate, ad un’analisi a freddo delle vicende in cui il governo ha deciso di intervenire, con veti o anche solo specifiche condizioni, direi che vi sono due aree principali particolarmente sensibili: da un lato, il settore della difesa, che rimane l’ambito in cui gli spazi del libero mercato si restringono, storicamente, di più; dall’altro, le tecnologie.

In che ambito tecnologico si è maggiormente concentrata la disciplina dei poteri speciali?

In merito, va menzionato anzitutto il 5G, che ha avuto una storia importante di utilizzo del golden power a partire dal 2019, specie verso le cinesi Huawei e ZTE. Poi, in generale, come ho scritto nella mia rubrica sull’Osservatorio Golden Power, la sempre maggiore centralità del know-how, dei patrimoni informativi e tecnologici sta in parte svuotando di significato l’originaria distinzione dei settori strategici. Dopotutto, sempre più realtà, operanti nei più svariati ambiti, disporranno di tecnologie sensibili. Da qui, una dilatazione importante, che si è vista nel caso Pirelli (settore pneumatici, ma l’asset da tutelare erano i sensori cyber) e Verisem (settore agroalimentare, ma l’asset da tutelare erano il know-how e il patrimonio informativo delle controllate italiane).

Come è cambiata la filosofia di applicazione dei poteri speciali da Mario Draghi a Giorgia Meloni?

Penso sia riscontrabile una certa continuità. Mario Draghi aveva usato a più riprese il Golden Power nei confronti della Cina, in coerenza con la sua postura atlantica. Pensiamo al caso di Lpe-Shenzen Investment Holding o Syngenta-Verisem, solo per citarne due. Anche Giorgia Meloni ha adottato un approccio assertivo verso Pechino, si veda la riscrittura del patto parasociale di Pirelli. Dopotutto, a mio parere, la lente con cui va letto il governo Meloni è quella della istituzionalizzazione della destra nei due vincoli esterni, quello economico-istituzionale (Ue) e quello di politica estera (Nato). Poi, certo, durante questo primo anno e mezzo di Meloni si è verificato anche l’”incidente” dell’opposizione ai francesi di Safran nell’acquisizione di Microtecnica. Il che non sorprende se consideriamo l’approccio meloniano alla Francia, da sempre diffidente. Ma non enfatizzerei troppo: la rivalità italo-francese ha radici più profonde e uno degli anni più tesi è stato il 2017, tra il veto all’operazione Altran-Next Ast., le specifiche condizioni nella vicenda Vivendi-Tim e l’evaporazione dell’operazione Fincantieri-Chantiers de l’Atlantique.

Come in prospettiva si può evitare l’emergere di una vera e propria “ansia” da sicurezza nazionale? Come governare i deal con attori stranieri ricordando che il golden power è un’ultima istanza, prima che una norma che scatta in automatico?

Innanzitutto, bisogna evitare di considerare il golden power come uno strumento di politica economica, a tutela dell’occupazione o di altri fattori esorbitanti dalla dimensione strategica, applicabile così ad ogni operazione di peso senza considerare che, fino a prova contraria, vi sarebbero dei settori di applicazione specificamente individuati e dei criteri. Sul punto, come già detto, la strategicità delle tecnologie non aiuta nell’ottica di scongiurare eccessive dilatazioni. Dopodiché, se da un lato è vero che l’utilizzo dei poteri speciali è ancora molto parsimonioso, dall’altro ci sono dichiarazioni dei Ministri che possono influenzare le scelte degli investitori, prassi informali, detti e non detti che agiscono in via preventiva, magari disincentivando a priori l’operazione.

Occorre tutelarsi comunque dagli eccessi: se tutto è strategico, nulla è strategico…

Il golden power rischia di diventare, nell’immaginario collettivo, un gran calderone in cui dentro può starci di tutto. Ecco, su questo sarebbe meglio fare chiarezza: il golden power è uno strumento di ultima istanza a tutela dei settori strategici, la politica industriale è altro. Il primo non può e non deve sopperire all’assenza della seconda.

In prospettiva, negli anni a venire, come potrà il golden power inserirsi in un quadro di maggiore sviluppo delle capacità italiane di competere con i nuovi trend geoeconomici e di politica industriale a livello globale?

Io sono dell’idea che dopo un’esperienza decennale di applicazione della norma i tempi siano maturi per una riscrittura complessiva, ragionata e non tramite i paradigmi emergenziali del decreto legge, ove si possa trarre insegnamento dalle luci e dalle ombre che vi sono state. Un testo organico, a cui vanno allegati i decreti attuativi, le relazioni parlamentari, la prassi giurisprudenziale, in modo da garantire il più possibile la certezza del diritto, al netto dell’intrinseca e ineliminabile politicità che ne informa la ratio. Il golden power deve essere un punto fermo a tutela della sicurezza nazionale, nelle sue diverse declinazioni. Considerata la fase storica, su questo non ci piove: l’ingenuità dei primi anni Duemila, ove investitori cinesi, russi o emiratini approfittavano della sottocapitalizzazione delle imprese italiane ed europee (specie dopo la crisi del 2008) per accaparrarsi asset strategici, non si sposa più con un mondo così turbolento. Allo stesso tempo, è importante sottolineare questo aspetto: non siamo gli Stati Uniti, che possono permettersi una dilatazione del paradigma securitario ben più consistente, abbiamo bisogno di investimenti e non ogni operazione va letta come una partita strategica. A volte si tratta, veramente, solo di flussi di capitale. Non dimentichiamoci gli aspetti positivi di un minimo di interdipendenza economica. Detto questo, mi piace prendere a prestito le parole di Jake Sullivan per indicare la traiettoria ideale tra libero mercato e sicurezza, investimenti e golden power: “a small yard and a high fence”. Un piccolo cortile e un’alta recinzione.