Home Economy L’inflazione rischia di travolgere l’Italia. E Draghi sembra saperlo…

L’inflazione rischia di travolgere l’Italia. E Draghi sembra saperlo…

bce extraprofitti L'ondata di rincari nei tassi d'interesse decretati dalle banche centrali di tutto il mondo per rispondere all'inflazione nell'ultimo biennio possono avere un impatto di lungo periodo nelle strategie di transizione

L’inflazione può travolgere l’Europa e l’Italia. Non serve girarci troppo attorno. Sono presto cadute le illusioni secondo cui la spirale inflativa che sta contraddistinguendo le economie più avanzate del pianeta sarebbe stata, in fin dei conti, una semplice scossa d’assestamento. Pie illusioni, aggiungiamo noi.

Inflazione, pressione senza pari nell’ultimo decennio

La pressione dell’inflazione, a livelli senza precedenti da oltre un decennio a questa parte, va di pari passo con la crisi dei materiali industriali, col chipageddon, con la bomba dei prezzi dell’energia che appesantisce il fardello di cittadini e imprese in termini di bollette, rifornimento del parco mezzi, minori disponibilità di spesa. Soprattutto, a esserne la causa è il totale esaurimento della capacità propulsiva degli aiuti monetari delle banche centrali all’economia.

Si è rotto l’incantesimo del quantitative easing permanente

Di fronte di fronte al ritorno in auge di una fase di acuta inflazione e di blocco della ripresa e del rimbalzo dell’economia reale sembra essersi rotto l’incantesimo del quantitative easing permanente, della natura di panacea totale dell’aumento della base monetaria su scala europea e globale che, da risposta anti-crisi, è diventata la nuova normalità nell’ultimo decennio. Come ricordato su Kritica Economica, questa espansione monetaria ha contribuito anche alla crescita dell’esposizione debitoria dei governi, che hanno potuto incamerare risorse a basso tasso di interesse sfruttando la crescente quota di titoli (nel caso italiano i Btp) finiti sotto il controllo delle banche centrali, ma si è soprattutto tramutato in un sussidio continuo al sistema finanziario.

Il ritorno al Far West monetario

Bank of England, Federal Reserve e, soprattutto, Bce hanno abdicato nel corso degli anni a ogni obiettivo monetario reale in favore di un sostanziale “liberi tutti”, del Far West monetario. Non più stabilità dei prezzi, come ortodossia monetarista vorrebbe, ma nemmeno monetizzazione del deficit come la Fed ha fatto solo per breve periodo a inizio pandemia e come continua a fare, al contrario, la Bank of Japan. Si è piuttosto sostituita a ciò un sostanziale appiattimento delle banche centrali sulla volontà di mercati finanziari in continua espansione. Sulle necessità, cioè, del mercato azionario e sulla tenuta di quello obbligazionario sovrano come detonatore potenziale delle crisi debitorie degli Stati.

Al contempo l’era delle banche centrali e del Quantitative easing permanente ha portato a ritenere inevitabile la predominanza della leva monetaria sulla programmazione economica dei governi: la crisi del coronavirus ci insegna che non è così che stanno le cose. Investimenti strategici, opere pubbliche, piani occupazionali, riforme previdenziali, progetti di transizione energetica, infrastrutture e piani per la sanità non nascono con la semplice leva monetaria, ma vanno pianificati, messi in atto e inquadrati in una logica coerente che rivitalizzi il tessuto economico. La dispersione della liquidità nelle gore morte della speculazione ha portato, infine, alla sua neutralizzazione.

Fiumi di denaro inghiottiti dalla finanza

Da cosa nasce la bomba inflativa? Da questo problema, su cui se ne innestano altri due. La trappola della liquidità si è sommata alla brusca frenata dell’economia reale e alla destrutturazione delle catene del valore globali nel rendere complesse le tessere del puzzle, mostrando che il re è nudo. Il Covid-19 è stato a lungo utilizzato come volano per una nuova fase del Qe, anestetizzatore degli spread e delle differenze di inflazione e rendimento dei titoli, ma la ripresa delle economie e dei consumi, dunque della domanda, ha surriscaldato il sistema mentre fiumi di denaro venivano continuamente inghiottiti dalla finanza, senza sbocco all’economia reale.

Aumentano i prezzi, ma anche i tassi di interesse

Cosa potrà succedere d’ora in avanti? Se l’inflazione continuerà, come è previsto, a lungo e se andranno in esaurimento gli oramai superflui stimoli monetari è logico aspettarsi una duplice dinamica. Da un lato, la ripresa del Pil, della produzione industriale, dei consumi verrà gradualmente erosa in termini reali dal fardello dei prezzi; dall’altro, l’inevitabile conseguenza non potrà non essere un aumento dei tassi d’interesse, che sfocerebbe senz’altro in uno scaricamento dell’inflazione sul sistema finanziario. Preludio della tempesta perfetta.

L’illusione narrativa che mantiene sostenibile il debito

Governi come quello italiano e l’intera architettura del Recovery Fund stanno oggigiorno in piedi grazie a un espediente narrativo: la sostenibilità del debito e l’impossibilità di attacchi speculativi per la sterilizzazione legata ai bassi tassi e al denaro facile Bce. L’economista Leonardo Becchetti ha recentemente sintetizzato le dinamiche innescate dalla Bce in un articolo su Avvenire: in questa fase in Europa “stiamo vivendo de facto una ‘quasicancellazione’ di una quota rilevante del debito con l’attuale politica della Bce di acquisto di titoli pubblici degli Stati membri, impegno non dichiarato a riacquistare nuovi titoli a scadenza e retrocessione dei guadagni da interesse ai Paesi membri”. Insomma, la Bce si impegna a mantenere sul lungo termine in portafoglio i titoli detenuti nell’Eurosistema e consente agli Stati emittenti un guadagno sul tasso d’interesse che si applica alle emissioni ordinarie. “Ebbene”, spiega il docente di Tor Vergata specializzato nel campo dell’economia civile e vicino al pensiero economico di Papa Francesco, “se qualcuno presta soldi impegnandosi a riprestarli quando scadrà il debito e restituendo gli interessi di fatto quel debito è come se non ci fosse”.

La spirale inflativa sarebbe una condanna per l’Italia

Qualora questa illusione franasse, addio mito del nuovo boom economico, addio fantomatico “effetto Draghi”, addio bilanci sostenibili delle banche e benvenuti attacchi contro il debito e l’economia nazionale di un Paese tuttora incapace di recuperare i livelli di crescita del periodo precedente un’altra crisi, quella del 2007-2008. Del resto la capacità di spesa dei governi dell’eurozona è effettivamente dipendente in larga parte dalle entrate fiscali, dalla loro capacità di emettere titoli sui mercati e soprattutto dalla “buona volontà” della Bce, garanzia dei primi due punti. La spirale inflativa sarebbe, se non controllata, una condanna per l’Italia.

Il 31 marzo cade lo scudo anti-spread della Bce

Secondo l’economista Mauro Bottarelli, attento analista del Sussidiario, non è un caso che il governo italiano abbia fatto coincidere al 31 marzo la fine dello stato d’emergenza. Per Bottarelli, infatti, “il 31 marzo è scadenza che blinda un arco temporale perfettamente congruo con la chiusura della pratica Quirinale, dall’altro coincide anche alla perfezione con la fine del Pepp, il programma anti-pandemico della Bce. Tradotto, lo scudo anti-spread”, ultimo antemurale prima dello tsunami inflativo. “Ovviamente, solo una coincidenza. Però, bella grossa. Nel momento in cui l’Eurotower si trova costretta a prendere tempo rispetto a decisioni definitive legate agli acquisti strutturali di bond, il Governo italiano sembra volersi cautelare”.

I timori di Draghi e le prospettive sul Quirinale

E la volontà di Mario Draghi di saltare da Palazzo Chigi al Quirinale, con fretta quantomeno sospetta, può anche essere associata ai timori ben chiari all’ex governatore Bce circa il rischio di un grosso naufragio nell’anno a venire. Per il governo dei migliori essere associato allo scatenamento dello tsunami recessivo da inflazione e alla fine della ripresa post-Covid sarebbe un disastro epocale. Ma dobbiamo essere consci che il 2022 per l’Italia sarà un anno cruciale. In cui il Paese, se la congiuntura economica dovesse peggiorare, rischia seriamente l’osso del collo.