Quattro su quattro: l’asse Pd-M5S alle elezioni colleziona solo sconfitte

Il Pd e il Movimento alleati hanno perso quattro volte su quattro alle Regionali. Quale futuro avranno i progressisti con questi risultati?

Perché leggere questo articolo? Il Pd e il Movimento alleati hanno perso quattro volte su quattro alle Regionali. Quale futuro avranno i progressisti con questi risultati? In questo articolo si prova a capire se un campo progressista esista ancora

Quattro su quattro: con la sconfitta di Pierfrancesco Majorino in Lombardia il centrosinistra alleato al Movimento Cinque Stelle fa poker. E si conferma perdente alle regionali in ogni occasione in cui viene schierato. A conferma del fatto che Partito Democratico e M5S sono, in larga parte, incompatibili come elettorato di riferimento e posizioni reciproche arriva il voto lombardo. Che vede i grillini (contiani?) polverizzati. E il Partito Democratico tenere, ma perdere ugualmente. Mentre a livello nazionale l’Opa di Giuseppe Conte sugli ex alleati del “campo” giallorosso prosegue, su scala locale i due partiti si confermano mutualmente escludibili.

Umbria e Liguria hanno inaugurato la serie

Dal 2019 al 2023, in quattro anni sono arrivate quattro sconfitte. Nell’autunno 2019, a governo giallorosso appena nato, Conte, Nicola Zingaretti, Luigi Di Maio e Roberto Speranza si presentarono alla corte del candidato civico Vincenzo Bianconi, per tenere a battesimo l’asse giallorosso.

Ma il già presidente di Federalberghi perse nettamente. La leghista Donatella Tesei rifilò 20 punti percentuali di distacco al candidato giallorosso: 57,55% contro il 37,48% dello sfidante.

Non migliore sorte ricevette l’anno successivo il nuovo “campo largo” testato in Liguria. Il presidente di Regione uscente Giovanni Toti si conquistò la rielezione alla guida del centrodestra. Ferruccio Sansa, ex giornalista de Il Fatto Quotidiano, finì sconfitto con più di diciassette punti di distacco. 38,90% per il centrosinistra, 56,13% per Toti.

In Liguria e Umbria il Pd prese in entrambi i casi il 20%, a Genova alleato alla civica Sansa Presidente, e finì secondo partito dietro, rispettivamente Cambiamo e la Lega. Poco superiore al 7,5% il consenso pentastellato in entrambi i casi.

Dalla Calabria alla fine dell’asse Pd-M5S

In Calabria, nel 2021, Amalia Bruni rischiò addirittura il doppiaggio ad opera del candidato di Forza Italia Roberto Occhiuto. 54,46 per il centrodestra, 27,68 per il centrosinistra in una sfida in cui il gap tra i due partiti giallorossi, allora annacquati nell’area Draghi, si ridusse a sette punti: 13,18% per il Pd, 6,48% per i pentastellati.

Il 2022 è stato segnato dal distacco dell’alleanza giallorossa. Il Movimento Cinque Stelle si è posto in posizione sempre più polemica verso il governo Draghi e Conte ha iniziato a sfidare Enrico Letta e il Pd su tre temi forti: pacifismo, ambientalismo, welfare. Questo ha permesso al Movimento un recupero nei sondaggi poi trascinatosi dopo le elezioni politiche nel sorpasso non materializzatosi alle urne sui dem.

Majorino fa quattro su quattro

La sconfitta di Majorino e il “quattro su quattro” delle sconfitte alle Regionali sembrano essere il de profundiis sull’esperimento dell’alleanza progressista. La cui unica esperienza vittoriosa in voti di valenza nazionale è stata quella della corsa al comune di Napoli nel 2021, che ha portato all’elezione dell’ex Ministro dell’Università Gaetano Manfredi alla carica di sindaco.

Il Pd è più forte nei voti locali, il Movimento tiene a livello nazionale ma lo fa, soprattutto, in antitesi e non in complementarietà ai dem. I quali sono sconfitti in tutte le loro formazioni: quattro su quattro con i Cinque Stelle e due su due (il Lazio dopo le Marche) in alleanza con Carlo Calenda e Azione. Tanto da far dubitare che un campo progressista, con formazioni litigiose e in crisi di identità, possa ancora veramente dirsi esistente dopo le batoste degli ultimi anni.