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Ode a Giuseppe Guzzetti, vate della buona politica

Ode a Giuseppe Guzzetti, vate della buona politica

Su Giuseppe Guzzetti sono al di sopra di ogni sospetto. Nel senso che ho sempre dichiarato, scritto e detto che se ci fossero non dico cento, ma solo dieci Guzzetti nella politica italiana, la politica italiana sarebbe di gran lunga migliore. Guzzetti, l’uomo della Dc che capì che alla fine della Prima Repubblica la sfida vera non era più nelle assemblee legislative e rappresentative, ma in mezzo alla società, al terzo settore, a chi non ce la faceva, o ce la faceva a stento. Ultimi e penultimi e terzultimi.

L’uomo che ha capito e fatto capire che solo con i soldi della finanza, leggasi le Fondazioni Bancarie, si poteva davvero cambiare la società italiana partendo dagli ultimi. Questa estate ci siamo un po’ frequentati per il mio libro Fuga dalla città. L’ho pregato di rilasciarmi una intervista e mi ha onorato delle sue parole.  Ricordo la sua prima frase, che cito con la mia memoria fallace: “Anche qualora avessi fatto tutto il tuo dovere, sarai solo un umile servo nella vigna del Signore”.

Il senso è che non esiste il riposo e la soddisfazione, quando si ha a che fare con il bene pubblico. La frase che mi ha cambiato la visione della città per sempre è finita in quarta di copertina sul mio libro: “A Milano ci sono 20 mila bambini nella povertà più assoluta. Chi ha responsabilità di governo non dovrebbe dormire la notte”. Guzzetti ha deciso di iscriversi al Partito Democratico. Me lo disse, nell’ultimo incontro: “Voglio tornare in campo”. E me lo spiegò: siamo all’ultimo giro della democrazia, se i partiti non reggono qui è finito tutto. Nella disintegrazione di ogni cosa, tra partiti leaderistici o talmente liquidi da essere evaporati, la presenza – che sia ingombrante, ingombrante! – di Giuseppe Guzzetti, può essere solo una buona notizia.