Home Economy Ecco come i ristoranti fregano i big del delivery

Ecco come i ristoranti fregano i big del delivery

Ecco come i ristoranti fregano i big del delivery

Milioni di persone recluse in casa per mesi. Unico accenno di svago? Ordinare da mangiare. Poteva essere l’anno d’oro del food delivery insieme ai “colleghi” di Netflix, Amazon, Zoom & Co. Rischia di trasformarsi in un incubo per le big del settore. Così anche i ristoranti stremati dalla crisi – l’ultima nota della Federazione italiana pubblici esercizi (Fipe) stima a fine anno la perdita di 50mila aziende e 300mila posti di lavoro in bilico – corrono ai ripari durante il secondo lockdown. Con tecniche rudimentali ma efficaci. Un bigliettino, un flyer, nascosto nel packaging del cibo consegnato a domicilio dai rider. Il concetto? Semplice: caro cliente, chiama direttamente noi. Le consegne ce le gestiamo in proprio e tu avrai diritto a uno sconto per il periodo del lockdown. Per le varie Glovo, Just Eat, Ubereats, Deliveroo oltre al danno la beffa. Perché il messaggio viene recapitato a casa direttamente dagli inconsapevoli fattorini delle piattaforme. Che a loro volta hanno sfruttato la nuova centralità assunta come “servizio essenziale” per rivendicare diritti.

Lo sciopero di cinque giorni indetto a Milano e nel resto della penisola contro il “contratto pirata” siglato da Ugl con Assodelivery – l’associazione di categoria –, con cortei e scene di rabbia bloccando i “crumiri” che continuavano a lavorare distruggendogli il cibo per strada, sembra aver colpito nel segno. La mobilitazione si è conclusa domenica 8 novembre. Lunedì scorso l’amministratore delegato di Just Eat Italia, Daniele Contini, ha spaccato per la prima volta il fronte di Assodelivery annunciando, per i 3mila riders, l’assunzione con contratti di lavoro dipendente nel 2021. Promesse da marinaio? Chissà. Ma intanto il manager ha dichiarato: “È un segno di civiltà e di etica applicata al business. Ci saranno dei costi da sopportare, ma crediamo in questo business ed è arrivato il momento di investire sulle persone”. Chi se la passa davvero male è Uber Italy ancora sotto “tutela” del Tribunale di Milano. Commissariata dal giudice Fabio Roia, Presidente della sezione misure di prevenzione, a ottobre il pm Paolo Storari ha chiuso le indagini per caporalato sull’azienda.